Per cui, cercando di chiarir cose a me note aprendo altri fari oltre quelli già utilizzati, magari le ho confuse per chi di Roma, antica o meno, ne sa poco o giusto quel che è necessario sapere.
Me ne scuso, ma la Storia - me lo spiegò bene il relatore della mia Tesi di laurea anche se con altre parole - è composta in modo che tanto più l'approfondisci e più si complica, più la ampli e più si fa caotica.
Intrecciata ad essa c'è la Storia della Chiesa per cui domani è il Santo Natale, ma questa la conosciamo tutti e per questo ho un po' glissato, accendendo giusto un faretto che ai devoti comunque temo non possa far piacere, e me ne scuso pure di esso.
Come mi scuso della prolissità di quanto segue, ma non saprei come dividerla, e della pesantezza a volte del mio linguaggio: ho scritto come avevo voglia di leggermi, e non sono soddisfatto manco io, come al solito del resto. Comunque, se si ha impressione che ci siano dei copiaincolla, sono solo dalla mia memoria, per quanto in molti casi sia sempre santa Wikipedia, ma in inglese perlamordiddio!
Quindi, alla vostra compiacente attenzione licenzio...
SOL INVICTUS
La “polis” ecclesiastica
È impressione diffusa, almeno fra chi non è credente, che la
religione Cristiana Romano-Cattolica sia essenzialmente più politica che
spirituale. Questo senza voler togliere nulla alla personale spiritualità dei
suoi credenti, che del resto non può essere negata per i credenti di alcuna
religione diversa. Ma il suo agire nei secoli fino ad arrivare al moderno
ingombro degli aspetti più intimi della libertà nelle legislazioni dei Paesi a
tradizione cattolica, mostra chiaramente un soggetto politico potentissimo,
poliedrico e transnazionale anche quando agiva come portatore di un proprio
Stato sovrano.
In effetti, la Chiesa Cattolica è essenzialmente politica
perché così era la Religione Romana da cui, suo malgrado, discende direttamente.
Quella tradizionale intendo, quella uscita dalla primigenia contaminazione fra
ritualità etrusche e superstizioni italiche. Nel suo complesso il Cristianesimo
è invece sincretico discendente di tutto lo sviluppo della religione statuale
ellenistico-romana imperiale, ma è indubbio che nella sua specificità settaria
la Chiesa Cattolica sia collegata più direttamente alla radice originaria
Romana di quella Ortodossa sua coetanea.
Del resto, è vero che son catholicos (universali) anche i pizzardoni delle chiese ortodosse, che a
Costantinopoli no che non gli conviene, ma a Mosca rialzan la testa per
intrudersi di nuovo politicamente nella società. Ma lasciamo perdere i
Patriarchi eredi dei cappellani di Czar e Basileus, che qui sta la differenza:
i Papi non furono mai soggetti, istituzionalmente, di alcun Dominus Augusto.
Questo perché comunque mantenevano la Dignità di Roma,
dignità discesa all’Impero attraverso la Repubblica fin dall’Età Regia, ma pure
latente in tutte quelle generazione di popoli (di individui in effetti espulsi
dai loro popoli, almeno nei primi due secoli dopo la fondazione) che si
andavano condensando per assemblarsi in quello nuovo Romano addensando le
proprie divinità di riferimento, per la maggior parte espressione naturale del
diretto rapporto con la Natura ma via via sottoposte ad una mediazione di
tradizione pontificale trasmessa per centinaia di generazioni istruite a
studiare il cielo, e le sue interazioni con le manifestazioni telluriche, e di queste
con quelle meteoriche e climatiche, e a interpretare il tutto come espressione
dell’umore delle divinità ctonie e uranie.
Diretta discendente quindi della ritualità Etrusca di
fondazione e dalla spiritualità Italica di tradizione, ancora solo lievemente
contaminata dalla grandiosità Greca e ben lontana dalla universalità Orientale,
la Religione Romana da Numa Pompilio in poi fu codificata in una serie di
cariche istituzionali, Sacerdoti e Collegi Sacerdotali o Pontificali, poste ad
amministrare con minuzia i riti augurali o interpretativi delle varie Divinità
panteistiche, che con l’andar del tempo e soprattutto con la Repubblica si
intersecarono e intorcinarono con le cariche del cursus honorum politico per
dare la vera statura del Civis Romanus, in rapporto con gli Dei propri e con
quelli comuni.
Era in effetti una religiosità su due livelli, al di là
delle adesioni personali, individuali, intersodali a credi più o meno misterici
col tempo sempre più diffusi: quello familiare comune alla Tribù d’appartenenza
che si scomponeva nelle varie Gentes a loro volta più o meno potenti a seconda
della “sodalitas” che univa le Familiae componenti; e quello generale
sovraordinato, diretto alle Divinità Maggiori, espresso nei riti codificati
delle cerimonie pubbliche dei dies fasti o nefasti ma anche in un sistema di
Lari-Penati espressione della Familia allargata di tutta la comunità.
Da questo punto di vista, il passaggio dalla monarchia alla
Repubblica (in effetti la cacciata della Gens prevalente dei Tarquini con le
cattive e con le buone, e l’accaparramento dei suoi possessi e delle sue
clientele o alleanze – quando possibile – da parte delle Gens Senatorie)
significò solo la riattribuzione e redistribuzione delle funzioni fra pubbliche
e private, con l’istituzione simbolica del Rex Sacrorum come sorta di
ricettacolo di tutto ciò che solo una dignitas regale – quindi ormai non più
governante – potesse portare a colloquio con gli antichi Dei Regi, che sempre
di Roma erano, e con la semplificazione delle ritualità assegnate ai magistrati
repubblicani, dai Consoli-Auguri in giù, cosicché ogni sia pur infima
Magistratura corrispondeva ad un preciso Collegio Sacerdotale, i cui membri si
mescolavano nell’indossare cariche pubbliche e religiose.
Sodales Augustales
Questo fino ad Augusto e ancora con Augusto, solo che Ottaviano
non si limitò a manipolare cariche e collegi pubblici, come del resto già fatto
da Cesare e da Silla e da altri ancora prima per adattarli alle mutate
contingenze di un popolo in violenta crescita e diversificazione: creò con il
Collegio dei Sodali Augustali – o meglio con l’estensione a tutta la Res
Publica dei Lari-Penati suoi e della sua Gens Julia, con festività apposite e
ritualità significative, semplificate e comprensibili fino alla più bassa Plebe
– un culto comprensibile per i Romani ma unificante in nuce la complessità di
affrontare i variegati culti Orientali, che da un lato dovevano essere annessi a
Roma, ma che in Roma avrebbero potuto portare con i loro riti e ritualità
influssi culturali preoccupanti per la politica di rinsaldo delle tradizioni Romane
voluta da Augusto.
Questo spiegherebbe anche la curiosa proibizione per i
membri del Senato di recarsi in Egitto finché rimase in vita: sarebbe in
effetti stato imbarazzante per Augusto rivelare che dopo tanta prosopopea
contro Marco Antonio, pure lui si faceva effigiare da Faraone. Ma era indispensabile:
solo ai sacerdoti del Faraone quelli di Phile rivelavano le stime per le piene
del Nilo, che solo la loro plurimillenaria esperienza nel religioso studio del
sacro fiume fin nel cuore della Nubia e dell’Etiopia poteva dare così esatte.
Morto Ottaviano, gli Egiziani delle campagne ebbero poi una per loro comprensibile
dinastia faraonica di Augusto II, III IV, V e ad libitum fino alla conquista
Araba, mentre a Roma i templi dei culti Orientali ebbero presto via libera, a
cominciare da quello alessandrino di Serapide.
Cominciava insomma l’Impero Romano Ellenistico, nonostante
gli sforzi dei Sodales Augustales di romanizzare il più possibile qualunque
rito.
Sarebbe comunque ingenuo credere che, essendo quello degli
Augustales un culto nuovo, artificiale e preconfezionato, tali fossero pure i
suoi riti, per quanto intrisi di significati più politici che spirituali
fossero.
Vivo Augusto, l’unico Divo a cui ancorare il culto era naturalmente
Cesare: il “Gen(i)us” di Augusto era lui. Ma da Cesare ascendeva tutta la
cultualità del “traslatore” Enea e le ascendenze sacrali troiane. Roba vecchia
ormai di un millennio, basti pensare al santuario ed all’heroon di Lavinium,
ancora precedente alla fondazione di Roma stessa.
Si impossessò in un qualche modo di questo culto, il
Sodalizio degli Augustales? Non penso sia dato saperlo, come probabilmente non
conosceremo mai l’evoluzione dei riti cerimoniali dei Sodalizi nelle loro funzioni,
ma in Oriente probabilmente questi riti erano mutuati più dalla immedesimazione
con quelli di Miti locali romanizzati che dalla imposizione di procedure
strette e testi univoci, se non date di giorni festivi legati alle fortune
augustee.
Doveva essere un Symbolum Universalis insomma: più di
trecentosessantacinque giorni un anno non ha, se non una volta ogni quattro,
come aveva stabilito il Divo Giulio…
Imperatorem stantem mori
oportet sicut Vae puto deus fio
Un Simbolo che con la fine della dinastia Giulio-Claudia
dovette forzatamente e radicalmente modificarsi.
Della Gens Julo-Claudia furono Divi Cesare, Ottaviano, Claudio.
No di sicuro Caligola, né Nerone, né il povero Tiberio che la divinizzazione se
l’era giocata a Capri, di certo interessandogli tanto quanto quella carica di
Cesare e poi post-Augusto che Ottaviano gli aveva imposto a forza di volere di
Mamma Livia.
A Galba, Otone e Vitellio forse sarebbe garbato, ma post
mortem loro, a nessuno passò per la mente di divinizzare quei cialtroni.
Vespasiano poteva quindi “supporre” di star diventando un
Dio a buon conto, perché nel frattempo aveva evidentemente manomesso
appositamente, in concordia con il Senato ovviamente, e con le pletore sacrali
cui dipendevano, i meccanismi non tanto della proclamazione (che sempre post
mortem, quindi insicura è), quanto dell’adorazione: divina era la figura
dell’Augusto in quanto stato tale, e non in quanto appartenente a una
determinata Gens, o Dinastia per gli Orientali cui il messaggio era specialmente
rivolto. La Gens Flavia per quanto antica e altrettanto se non più importante
della Julia o della Claudia separatamente, non poteva certo aspirare ad
ereditare pure l’ascendenza Venerea e Troiana dei Julii, anche se subentrando
nel controllo della Res Publica ne aveva ereditato tutte le clientele politiche
ed economiche, nell’Urbe e nell’Impero per quanto era vasto.
Ora, io non so precisamente né di Tito né di Domiziano, né
di Nerva – forse l’unico vero Augusto davvero nominato dal Senato nella storia
di questo ruolo necessario epperò ingrato – ma da Traiano in poi si comincia a
considerare gli Augusti immediatamente destinatari della divinizzazione appena
morti, quindi implicitamente già in vita.
Questo forse incautamente per quanto riguardava Traiano, ma
per Adriano, il Pio Antonino e Marco Aurelio fu certamente uno strumento di
Potere, soprattutto nelle provincie Orientali e nei rapporti con i sempre
turbolenti Parti e i visionari popoli di quelle parti. Il Senato comprendeva,
assentiva e acconsentiva. Come ogni consesso blaterava su tutto, e sempre con
più facondia tanto meno incidenti fossero i suoi Consulti, ormai sempre più
ponderati consigli che saggie decisioni.
Barba non facit
philosophum?
Su Marco Aurelio ho personalmente un giudizio controverso:
come a tutti mi fanno simpatia le tribolazioni di quest’uomo potente che poteva
starsene in una villa delle tante che ne aveva, e invece andava a guerreggiar
personalmente e a lagnarsene poi nelle notti d’insonnia scrivendo dotti e
profondi pensieri. In asciutto greco poi, come se non ne avesse abbastanza del
quotidiano pragmatico latino
Però mi chiedo se non abbia rivolto un po’ troppo
ossessivamente le sue elucubrazioni a se stesso e alla sua situazione
contingente, gran parte del suo tempo alle frontiere dell’Impero, magnifiche
per ampiezza quanto terrorizzanti per lunghezza, e per il resto in viaggio, o a
trombar la cugina Faustina per far malaticci figli in lussuose ville dove poi
confortarsi e raccogliere i propri Pensieri. Il fronte interno, per così dire,
glielo reggevano il Senato e le riforme costanti di Adriano e Antonino Pio, e
lo ressero a lungo, stante che Commodo sarà stato quel che sarà stato, ma lo fu
per dodici anni, e un tiranno non dura così a lungo se il benessere dei suoi
tiranneggiati è veramente disastrato dal suo tiranneggiare.
Ma se per Principio non doveva esser porfirogenito, il successore
di quel filosofo di Marco Aurelio Vero, bensì adottivo come lui stesso, e il
predecessore, e il predecessore ancora e il predecessore primo – cioè Traiano –
perché non era mai stato esplicitato chiaramente?
Perché il fatto della “adozione” è una balla: il successore
andava comunque cercato entro una cerchia di parentele per mantenere compatta
la ragnatela di interessi economici che ancora reggeva il Senato attraverso il
“sistema” della Gens, delle Gentes che si collegavano nei più svariati modi con
i coloni appartenenti – in via burocratica s’intende – alle originarie Tribus
municipali sparpagliate fra il Mediterraneo, le Gallie e la Britannia.
Penso che da una parte si cercasse di creare la Gens
“ideale” dove pescare i potenziali “Principi” allevati e istruiti per prendere
controllo della macchina sempre più complessa della Res Publica, dall’altra ci
sia trovati nella realtà contingente di una pestilenza mai vista e di un
Principe apparentemente debole di mente e facilmente manipolabile dalle varie
fazioni senatorie che vedevano venire a mancare una solida guida alla Familia
Principale. Commodo insomma sguazza per dodici anni sopra una turbolenza
politica senatoria che rende entrambi soggetti “deboli”, una “coalitio forzata
adversum unum” destinata ovviamente a risolversi nelle ostentate buffonate di
Commodo e nelle pugnalate finali a quell’Imperatore non disastroso, no, ma solo
grazie all’insubordinazione dei suoi Generali ai suoi confusi ordini.
Ab pagus ad Urbis
Non subito evidente, naturalmente, ma il declino era
cominciato.
Tutto sommato il governo dei Severi – dopo l’intervallo di
quei due balordi di Pertinace e Didio Giuliano – continuò a portare avanti quel
che gli Antonini avevano impostato. Però i tempi cambiavano, e per i parametri
di allora, di un Mondo che appena da pochi secoli era entrato nella fase
“storica” dell’Umanità dopo millenni di apparente stasi mitica, cambiavano
velocemente.
Mentre fino ad Augusto e ai Flavi solo Roma e Alessandria
potevano essere considerate metropoli, mentre le altre città mediterranee erano
poco più che centri urbani relativi al loro territorio di più o meno antica
tradizione – agricola sempre, artigiana spesso, mercantile dove da sempre le
condizioni geomorfologiche e strategiche avevano posto scali commerciali – nel
II ma soprattutto nel III secolo l’urbanizzazione anche nei territori interni
dell’Impero comincia a farsi spinta e preoccupante, per molti motivi ma
prevalentemente per l’estensivizzazione delle coltivazioni oltre ad un impetuoso
aumento demografico.
La formazione dei latifondi schiavistici a scapito della
piccola proprietà contadina insomma, piuttosto che la messa a coltura di nuove
terre. Fenomeno invero naturale, tant’è che era considerato un problema
fondamentale fin dal tempo dei Gracchi, oggettivato dal fatto che solo i
contadini e non i cittadini urbani fornivano soldati per l’esercito. Ma al
tempo dei Gracchi la necessità era di avere sufficienti soldati “Romani”, poi
si risolse allargando l’esigenza agli “Italici” e ponendo la Cittadinanza
Romana come premio finale alla ferma decennale o ventennale. Con l’allargarsi
della Res Publica in Impero, le Colonie e i Municipi nei nuovi territori prosperarono
e fornirono per tre secoli sufficienti rincalzi per le Legioni, spesso formate
con reclutamento territoriale stretto, ma le tensioni sempre crescenti su ogni
limes – ora che le esigenze di espansione sembravano essersi consolidate sulla
linea Reno-Danubio e le ambizioni di conquista erano concentrate tutte sul dare
un colpo decisivo alla Partia – cominciavano a richiedere nuove forme di
arruolamento, anche fra i non Italici, se non proprio ancora fra i Barbari.
Non c’era più nessun interesse insomma a difendere la
piccola proprietà contadina, se non fra i poveri coloni che vedendosi
espropriate le terre dalla più razionale condotta dei latifondi dovevano
scegliere se rimanere come servi poco più che schiavi, arruolarsi o cercare
fortuna in città. A Roma per gli Occidentali, ad Alessandria e non bastando più
questa alla fine Costantinopoli per i più fertili Orientali.
E non tutti sono fatti per far il soldato, ma tutti si
adattano a vivere in città, soprattutto se era la magmatica Urbe.
(Ac) Dominus Ac Deus
Settimio Severo probabilmente aspirava ad essere un altro
Vespasiano, e sotto molti aspetti gli assomigliava. Soldataccio di buona
famiglia, spiccio apprezzator di femmine, devoto alla famiglia.
Ma mentre Vespasiano era stato un italico reatino di buona
Familia e illustre Gens, Settimio era un italico di sesta generazione africana,
forse l’ultimo ad aver fatto davvero tutto il cursus honorum da colono Equestre
a Princeps Senatus. Cosa a cui disse basta.
Settimio Severo spazza via il potere del Senato in campo di
controllo militare, ma più ampiamente lo limita in ogni aspetto che possa
infastidire la conduzione “tecnica” della Respublica, tranciandone anche
fisicamente i tentacoli. Di sicuro era più brutale di Vespasiano, per certi
aspetti anche meno bonario, ma si deve considerare oltre ai diversi tempi,
anche la diversa famiglia, fra Caracalla, Domne e Mamee…
I Severi-Bassiani-Mamee intendevano governare in maniera
decisamente più ellenistica dei loro predecessori, ma in effetti solo dal punto
di vista formale, per i Romani di ceto senatorio eccessivamente Orientale. La
forma però era substanzia rerum per i Romani tanto quanto per gli Ellenisti: su
quella si basava l’accettazione o meno del far parte della “Koinè Imperiale”.
Nei Sodalizi degli Augustales erano compresi molti dei membri più notabili
delle varie cellule municipali o coloniali Romane, la classe dirigente che con
l’Editto di Caracalla sul “Jus Soli” vide di botto svalutato ogni valore alla
Cittadinanza Romana in quanto “premio”. E non era nemmeno sostituito da un
sinonimo più alto come “libertà”: singolari riti esoterici orientali vennero
prescritti e imposti (soprattutto con Eliogabalo) nelle celebrazioni pro Augusti,
e questo a tutto l’Occidente transalpino cominciò a non andar giù.
Ai Romani de Roma più o meno andava bene tutto finché gli si
garantisse la panza piena. 193-235: quarant’anni abbondanti, Macrino non conta,
dura la Dinastia – stavolta sì – Severiana. Perché la forma della trasmissione
(quindi controllo) del Potere era, d’accordo, familiare nella forma Romana, ma
assolutamente Orientale nella concezione delle Mamee: per costoro, la divinizzazione
in vita era già ovvia, il problema era come imporlo all’Urbe, e quindi a tutto
l’Orbe…
Prologo al Caos
Le Domne Mamee però, questa schiatta influentissima nella corte
che contava più dei fantocci passati alla Storia loro malgrado come i Severi,
erano sacerdotesse di un culto mammone destinato solo a farsi fagocitare da chi
intanto in silenzio rodeva.
Con l’assassinio di Alessandro Severo – un Imperatore che
Montanelli ha battezzato “Santo” senza meglio definire se la sua ironia era in
effetti sarcasmo – nel 235 comincia convenzionalmente il periodo dei “Trenta
Tiranni” o meglio conosciuto come Cinquantennio di Anarchia Militare.
Essenzialmente, il controllo centrale dell’Impero si spezza
in tre parti: la Gallia tirandosi dietro Spagna e Britannia trova di poter far
meglio contro i Barbari del Reno accorciando le linee di comando da Roma a
Colonia e poi a Treviri, i Nabatei di Palmira si sono talmente romanizzati in
quei trecento anni di contatto e falsa sottomissione da ritenersi abbastanza
forti da suonarle da soli ai Parti, come sognavano di fare da secoli. Giusto
che avevan bisogno dell’Egitto e del suo grano, e romanamente parlando se
l’eran preso.
In mezzo, trasversale per la visione del Mondo dei tempi,
Roma col suo giardino italiano esentato dalla leva militare fin dal tempo di
Adriano, la sua Africa in grado di produrre sempre più olio e grano se solo si
fossero dati ai latifondisti i mezzi che in effetti gli si davano, la Grecia ormai
Grecia se non in chiacchieroni e bravi artisti, e le montagne dei burberi
illirici e le pianure ancora non ungare della Pannonia, la collinosa Tracia
sotto al Danubio, sopra al quale nella Dacia conquistata da nemmeno due secoli
i primi Romeni combattevano per rimaner Romani contro Goti e Gepidi.
Sull’Asia Minore stanno mettendo gli occhi gli Armeni,
popolo che a forza di patteggiar con tutti qualcosa su come dominar ha
imparato, la Siria è ipnotizzata ora da Palmira ora dalla Persia, che incombe.
Non è poi strano se mentre a Roma infuria la continua faida
fra Gentes senatorie per determinare il “Princeps inter Pares” alle frontiere
si eleggono Imperatori che possano decidere autonomamente dove e quante e quali
truppe spostare in emergenze di pochi giorni, quando le comunicazioni
strategiche più veloci potevano essere di settimane.
Il fatto è che questi Imperatori farlocchi nient’altro erano
che generali alla ricerca di approvvigionamenti per le loro truppe: o si
impossessavano dell’apparato fiscale – e quindi amministrativo – locale, o
dovevano farlo saltare, e la faccenda dell’oca dalle uova d’oro è antico
insegnamento proprio per quello…
Quindi è perciò, il percui non fu solo “militare” quella
“anarchia”: l’Impero della Res Publica Romana si organizzava territorialmente
indipendentemente o in avversione al governo centrale per meglio funzionare
dimensionando la stessa organizzazione a misura di esigenza di territorio. Poi
i capintesta di chi gli forniva i mezzi per agire si montavan la capoccia e
pretendevano la divinizzazione ipso facto proclamata, una sorta di pensione
eterna, ammesso ci credessero veramente. Però era lustro vivendi, e avrà avuto la sua importanza, che a seconda delle
ambizioni dei personaggi sarà stata utilizzata in maniera più amministrativa
che politica o viceversa, ci fosse mai un sistema per distinguere le due cose. Il
Principe Augusto si stava trasformando in Dominus Augusto, sacro ipso facto al
di là del fatto che fosse anche il Pontefice Massimo del culto tradizionale che
ormai si esercitava solo a Roma, e nelle sue svariate manifestazioni
panteistiche nelle campagne e nei pagi dei coloni italici, nell’Illirico e
oltre.
I riti dei Sodales Augustales cittadini probabilmente non
variavano molto nella forma, ma avevano variabili sostanziali per dimostrare la
lealtà – personale o della comunità - all’Augusto di Treviri piuttosto che a quello
di Roma o dovunque stesse in quel periodo. Era tutto simbolico il mezzo
privilegiato per intendersi a quei tempi, e tutto andava più o meno bene quando
i Simboli di riferimento coincidevano col buonsenso, come con quasi tutti i
culti religiosi Orientali e con tutti quelli Occidentali, ma con uno pareva
davvero difficile accordarsi.
Era quello Cristiano, naturalmente.
Retropasso
Ora il passo indietro è dovuto.
A parte la persecuzione di Nerone, che a conti fatti sembra
più che altro un ciapamò sul primo che capita, basta sia la folla a indicar
quello, i Cristiani non danno fastidio a nessuno fino a che non vengono
interpellati da Adriano se interessati al suo Pantheon, e coortati da
Eliogabalo nel suo emetico culto Solare.
Dopo il 235, scatenano pian piano l’inferno.
I “mezzi tecnici” con cui si diffuse il Verbo Cristiano sono
più o meno evidenti: erano inizialmente una setta ebraica sparpagliata in giro
per il Mediterraneo e fuori dalle purghe Romane successive alle guerre
Giudaiche di Vespasiano e Tito, iniziate ancor prima della morte di Nerone.
Pietro e soprattutto Paolo erano consapevoli dell’inevitabile
destino del Popolo Ebraico e furono fra i fautori di una rete d’assistenza per
gli esuli futuri, solo che a Paolo l’entusiasmo prese un po’ la mano…
Di una cosa sicuramente ci si deve liberare per provare a
capire l’ascesa del Cristianesimo: non erano dei poveracci, nemmeno all’inizio.
Erano dei potenti – se non come denaro in sé, come rete di conoscenze – che
aiutavano i poveracci, ma non i poveracci in quanto tali, li aiutavano solo se
‘sti poveracci davano segno e dimostrazione e atto di aderire alla Causa. La Causa
del Cristo: cosa esattamente costui avesse detto era confuso e in continua
diversa interpretazione, però buono per tutti e soprattutto per i poveracci, ma
comunque si fidassero, comunque magnassero, che prima o poi avrebbero compreso,
e se no li avrebbe comunque attesi una eternità di beata comprensione, bastava
credessero. Al Cristo e alla Sua Chiesa e al Vescovo di riferimento.
Una organizzazione potentissima, forse non diversa da quella
Mitraica, Isiaca o Serapica, ma ostinatamente e ostentatamente antagonista a
qualsiasi compromesso. Questo era probabilmente dovuto alle origini giudaiche:
la spinta all’ecumenizzazione di Paolo fu decisiva per far distinguere il
cristianesimo dalle altre sette ebraiche della diaspora, ma un sincretismo
inizialmente troppo forte avrebbe probabilmente avuto l’effetto opposto, ossia
di mantenerlo nell’ambito dell’indistinto – ma sempre più deciso e
simbolicamente preciso – panteismo Romano.
In effetti, per meglio comprendere gli aspetti religiosi del
III e IV secolo si dovrebbe far riferimento alle attuali fibrillazioni –
interne e fra di loro – dei moderni partiti politici: quello era la religione
del tempo per le classi agiate, influenti e dirigenti dell’Impero, politica
pluri-partitica che nel V e VI secolo si riassumerà all’interno del
Cristianesimo prima nella polarizzazione niceno-ariana (risalente ancora al IV
assieme alle principali “eresie”), poi in quella romanocattolica-ortodossobizantina.
L’impetuosa crescita del Cristianesimo dalla irrilevante
ininfluenza del II secolo alla definitiva presa di potere con Teodosio e
Graziano alla fine del IV è insomma da leggere come l’ascesa di un partito
politico alla fine trionfante, dominante e tirannico, ma sempre litigioso al
suo interno e turbolento con gli avversari.
Non voglio discutere la spiritualità del Cristianesimo
originario, s’intende, come non voglio paragonarla o contrapporla alle altre
spiritualità che in quei tempi coltivavano i seguaci degli altri culti: questo
è il mistero di ogni fede, che non si accende o spegne ad ogni decreto “Cuius Regio
Eius Religio”.
Ma questo è il dato brutale: Teodosio impose per imperio la
messa al bando dei culti non cristiani perché i loro seguaci erano ancora
maggioritari in tutte le campagne e in buona parte delle città, forse solo
Costantinopoli esclusa.
Persecutio?
Costantinopoli, del resto, ancora fondata col rito
tradizionale Etrusco-Romano, solo “benedetta” da un ancora incerto rito
Cristiano, probabilmente sempre consacrata dai culti militari o mercantili che
dovevano poi essere assorbiti ex lege in quelli ormai definiti dai vari
Concili.
Che Costantino intendesse usare il culto Cristiano (o
Galileo come ancora, disprezzosamente, per Giuliano detto l’Apostata) come suo
alfiere politico nello scacchiere imperiale razionalizzato da Diocleziano, è
indubbio. E io ho pure pochi dubbi sul fatto che Costantino in sé fosse
assolutamente agnostico, alla fine in un certo senso autodivinizzante nella sua
velleità di essere un nuovo Alessandro Magno. Il titolo di “Grande” insomma,
gli interessava molto più di una qualsiasi eternità paradisiaca, concetto che
Augusto avrebbe perfettamente compreso, ma la maggior parte dei posteri (e
forse pure dei contemporanei) no.
Ciò che fece probabilmente propendere Costantino, fu la
tenacia dei Cristiani a risorgere dopo ogni persecuzione.
Persecuzioni che, e sfatiamolo anche questo mito, non erano
state mai particolarmente sanguinose. Nerone è un caso estemporaneo, gli ad
bestias sono sane balle quanto le allegre storie dei Santi Martiri e dei loro
miracoli con le graticole o senza: la “persecuzione” era una proscrizione dai
pubblici uffici e dalle cariche onorifiche, quando ancora gli uni e le altre
garantivano lauti profitti e prestigio sociale.
La botta peggiore che i cristiani presero fu da Decio nel
250, che impose un “libello” di certificazione dell’adesione ai riti degli
Augustales. Era una sorta di giuramento allo Stato, insomma, che mise in crisi
il senso di lealtà dei notabili cristiani verso la Res Publica o verso la
propria fede-partito. Ci fu chi aderì e poi obliato l’obbligo lo rinnegò (i
“lapsi”), ci fu chi comprò con corruzione il libello pur non aderendo mai
personalmente (i “libellatici”).
Belle storie, ma evidentemente alla morte di Decio dopo solo
due anni di completo potere, i cristiani erano già abbastanza forti
nell’amministrazione Imperiale periferica da far cadere presso i successori
questa pratica burocratica. Almeno fino ad Aureliano.
Ecco il Sol Invictus!
Ma quale?
Strana Fama, quella di Aureliano Restitutor Orbis. Uno dei
più grandi e sottovalutati Imperatori Romani di tutta la Storia, in tutti i sensi
politici, militari, umanistici… però sì bè… ha riconosciuto la decadenza dell’Impero facendo le mura e ritirando
il limes dalla Dacia (però sì bè… paraculo ne fece due Province nuove sotto al
Danubio…), convinto Tetrico a governar la Lucania dopo esser stato Augusto
Galliarum (però sì bè… Tetrico non vedeva l’ora di veder il mare vero…) e fatto
risiedere a Tivoli Zenobia, tolta dalle manie di grandezza di Palmira per
pensionarla fra quelle di Traiano (però sì bè… se avesse lasciato in piedi uno
Stato autonomo contro i Parti, invece di sacrificare le Legioni italiche…),
impostato una riforma monetaria attraverso la razionalizzazione delle zecche
imperiali senza cui il Solidus di Costantino non avrebbe potuto essere la
moneta dominante l’economia del Mediterraneo per sei secoli… però sì bè… un
colpo di testa nella decadenza…
Forse perché sei anni son pochi, forse perché i sei
successivi di Probo furon conclusi a badilate, ma il tentativo di Aureliano di
ridare stimolo all’orgoglio e alla speranza di essere Cives Romanis è uno degli
argomenti che ho trovato maggiormente trascurati nella storia di questo periodo
chiamato “dei Trenta Tiranni”, che se trenta giusto fossero non si sa ma di cui
lui certo non ne fu uno.
Forse perché è imbarazzantemente superficiale riconoscere
che il Natale l’ha “inventato” lui: con quel culto solare sincretico che per
alcuni pare fosse originato dall’appartenenza di sua madre a chissàqualchequale
setta esoterica solare… e chissàchi gli avrà invece suggerito di portare a
termine un progetto filosofico iniziato fin dai tempi di Adriano se non di
Nerone, di un culto Apollineo sintesi Universale del Pantheon comunque
conosciuto da chiunque? Il Sole come Symbolum? E chi può disconoscere il Sole?
Quale notte può sconfiggere il Sole?
Io penso sia ipotizzabile che la querula, ossessiva
richiesta che al centro del Sole ci fosse una Croce, un Pesce o qualsiasi altro
comprensibile simbolo chiarificante che ce n’era uno meglio degli altri, di
culto, abbia innervosito parecchio Aureliano, Probo e i suoi successori, che
intanto avevano anche da chiedersi come utilizzare la rete di Sodales
Augustales, ormai apparentemente politicamente inutile.
Successori, oddio… Caro, Carino e Numeriano, e bastan i nomi
a dir quasi tutto, se non la cosa più importante: le Legioni d’Oriente eran
gonfie di armati e voglia di menar finalmente le mani contro i Parti, Mitra o
Sol Invictus che fosse si doveva partir! E partiti che furono, e datesene e
presesene coi Parti come facevano oramai dai tempi di Crasso, per tornare dal
travaglio dovettero affidarsi a Diocleziano.
E quanto dura 'sto Sol
Invictus?
Il quale Diocleziano, da parte sua, constatato che intanto a
Roma il Senato era ormai estenuato dagli ultimi tentativi di imporre Augusti a
proprio piacimento con il patetico putsch africano dei Gordiani (vetusto il I, inadeguato
il II, ma soprattutto grandiosamente patetico il III, Imperatore ragazzino
ultima grande speranza senatoria di rinnovare i tempi degli Antonini, l’ultimo
divinizzato voluntas populi, spodestato dall’oscuro ma capace celebrator del
Millenario, l’Arabo Filippo, altro discendente della diaspora italica dei tempi
di Crasso), e soprattutto non controllando più da tempo truppe in proprio, fu risolto
nell’utilizzare con i cristiani metodi e sistemi sicuramente più brutali di
Decio e meno persuasivi di Aureliano e Probo, anche senza arrivare a vere e
proprie stragi come spacciato dai martirologi. Perché poi nel frattempo
demoliva fra gli altri anche l’importanza del Sodalizio degli Augustali, aggiungendovi
o sovrapponendovi il culto statale dei Gioviani e degli Erculei che
caratterizzava la Tetrarchia: entrambi s’intende servitori di un Sol Invictus
sempre alquanto indistinto, se non in una indiscutibile interpretazione: anche
a questo andava giurata pia fidelitas, ma alle spicce, con confische e requisizioni
ai renitenti.
I cristiani insomma per Diocleziano erano nient’altro che un
ceto reticente abbastanza ricco e influente da entrare nel consueto tritacarne
Imperiale quando si doveva far cassa ed esigere fedeltà ridistribuendo cariche.
Costantino evidentemente ritenne invece che convenisse farsi
alleato quell’avversario cocciuto, e del resto a lui dei Gioviani e degli
Erculei interessava ancor meno che di Ario e Atanasio: lui puntava a diventar
Magno, e non Divo, e quello cristiano era il partito più potente che potesse
supportarlo verso quell’obbiettivo, come infatti lealmente ha fatto nei secoli
successivi.
Apré Julianus le
delugee
L’ordine rimesso da Costantino nel disordine poliarchico
succeduto immediatamente dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano, tornò
in fibrillazione alla sua morte e finché Costanzo il giovane non ebbe eliminato
o fu sopravvissuto a parenti e concorrenti. Avrebbe eliminato anche il ribelle
Giuliano, non fosse morto appena prima di morte apparentemente naturale.
Giuliano – tramandato alla posterità dal curioso appellativo
di “Apostata” opposto a quello che in effetti era e sentiva d’essere – al di là
dello spessore umano indubbiamente singolare e alle sue personali ferree
credenze in una Religione unificante di stampo esoterico ancor più che
ellenistico, politicamente si trovava ormai condizionato dalla predilezione del
suo predecessore per gli Ariani sui Niceni, quando tutto l’Occidente –
cristiano s’intende – era compattamente niceno, e l’Oriente – pure, ma più
diffuso – prevalentemente ariano.
È impressionante come in soli trent’anni dalla morte di
Costantino e cinquanta dal Concilio di Nicea, il Cristianesimo da antagonista
fosse diventato protagonista della conduzione dell’Impero. E nel frattempo, tre
generazioni di credenti cristiani erano cresciute nell’adorazione rabbiosa di
quelle precedenti perseguitate che avevano generato gli eroici Martiri.
Questo spiega le violenze che già al tempo di Giuliano
connotavano le dispute religiose e che portarono alle oscenità della fine di
Ipazia e dei roghi nei boschi sacri, tutte comunque coinvolte nel generale
malessere economico che stava montando in un Impero – e in un Mondo – in crisi d’insicurezza
costante e crescente.
Giuliano governò cinque anni come Cesare d’Occidente in
Gallia – governo prima essenzialmente teorico, alla fine prevalentemente
militare, nel mezzo autorevole e illuminato come legislatore – e uno e mezzo
come Dominus, nel quale emanò una quantità di decreti e rescritti
impressionante, tale da far pensare che quei cinque anni in Gallia fossero
stati effettivi da Cesare che volesse divenir Augusto, e Dominus vero.
Che ci credesse o meno, a quel partito dominante, turbolento
e diviso che era il Galileo, Giuliano voleva contrapporre una analoga struttura
utilizzando forse il culto degli Augustales coordinato a quello del Sol Invictus,
assieme, davanti o a fianco di qualsiasi concorrente e antagonista potesse
opporre a quella minoranza prepotente che si ostinò sempre a definire “Galilea”
o “seguace del Galileo”
Si trattava comunque, all’atto pratico, di dar meglio da
mangiare attraverso i templi urbani a quanta più gente possibile, in un certo
senso, che attraverso le comunità eucaristiche. Da qui lo scannamento di tanti
buoi e la circonvenzione di tante galline…
Ad limina infidelibus
Come se ci fosse stata una effettiva regia politica, anche
se non la provoca come da relativa leggenda, il Cristianesimo reagisce
decisamente alla morte di Giuliano.
Gioviano, l’immediato successore, è un uomo d’emergenza;
Valentiniano e suo fratello Valente – capostipiti della dinastia esiziale per
Roma – furono uomini di paglia.
Flavio Valentiniano era un soldataccio iracondo che delle
beghe interne della Respublica non voleva saperne, Valente un inetto vanesio
che provocò il collasso principale del sistema difensivo Romano sul Danubio non
solo per la disastrosa sconfitta di Adrianopoli, ma anche per la corruzione e
il malgoverno che avevano portato i Visigoti a diventare da popolo richiedente
accoglienza in nemico organizzato, ormai interno. Graziano, figlio e successore
di Valentiniano, era un ragazzetto bigotto, coraggioso soldato, pavido
Imperatore che chiamò a suo aiuto Teodosio, suggerito da chissà chi, eh…
Graziano fu il primo Augusto legittimo a deporre il Pontificato
Massimo, a mio avviso fu il primo vero Imperatore Cristiano.
Teodosio fu una sorta di Imperatore a servizio del
Cappellano di Mediolanum, Ambrogio, e dal complotto di loro due cominciò la
storia vera del Cattolicesimo, e del Cristianesimo politico tutto, con gli
Editti e i brutali Rescritti del 391…
Ab pontifices ad
Pontefice
Mentre subito dopo il 400 Onorio celebrava l’ultimo trionfo Romano
su non si sa bene chi, probabilmente il primo e unico con simbologie solamente
cristiane e che non si chiudeva sul Campidoglio o sui Rostri, ma in Vaticano, e
faceva irrobustire di qualche metro in alto e in largo le mura aureliane, in
Gallia si stavano per fare i conti con la rotta di Magonza – la breccia
attraverso la quale le tribù Franche e i popoli germanici si riversarono
definitivamente oltre il Reno – e dalla Britannia si ritiravano le ultime truppe
legionarie per tamponarla, e pure la Spagna veniva abbandonata a se stessa per
lo stesso motivo.
Dieci anni dopo i Visigoti di Alarico misero a sacco l’Urbe
per la prima volta dal tempo di Brenno ottocento anni prima, più o meno giusti giusti,
e quarant’anni dopo ancora fu la volta di quello ben più disastroso dei Vandali
di Genserico. Tutti ariani, fra l’altro, ovvero para-ortodossi, in un certo
senso, come pure gli Ostrogoti di Teodorico.
Anche se gli ultimi inutili Augusti dell’Impero d’Occidente
furono effettivamente “Romani” e Senatorii dopo più di un secolo a quella
parte, erano pure cattolici, perché ormai a Roma l’autorità costituita più
efficiente era la struttura elemosinaria del Patriarcato. Il Vescovo di Roma
utilizzò pure per qualche tempo i Palazzi Palatini come sede di rappresentanza,
ma poi si assestò in quelli Laterani, più nuovi e funzionali avendo fatto parte
del Palatium Sessorium di Costantino.
Non mi è ben chiaro quando i Vescovi di Roma cominciarono ad
assumere il titolo di Pontefici Massimi, dalla rinuncia di Graziano del 375
alla abolizione di Teodosio del 391, probabilmente qualche decennio dopo.
Sarebbe una storia interessante, che io al momento non saprei dove trovare.
Però è indubbio che nella Roma che dal milione di abitanti
del tempo di Costantino sarebbe passata ai trenta-cinquantamila di due secoli
dopo, la Chiesa ormai trionfante dopo aver ben maramaldeggiato recuperasse
dalle spoglie del nemico tutto ciò potesse essere funzionale al benessere
spirituale del popolo, convinto a forza di spinte ad essere Cristiano. Le terme
erano ormai irrecuperabili dal 535, i templi degli antichi dei ormai inutili da
molto più, i palazzi e le ville urbane crollanti, ci si poteva consolar e
trovar conforto solo nelle chiese.
È anche vero che i primi Vescovi venivano eletti dal
consorzio dei fedeli, e altrettanto i Pontefici al tempo della tarda Repubblica,
e che nell’alto Medioevo ci fu una bella sfilza di Papi Pontefici scandalosi e
mascalzoni da far invidia al basso Impero, tutti nobili o presunti tali mentre
quei poveri successori della plebe romana, superstiti di tanta gloria manifesta
nei ruderi imponenti, pretendevano di formare un Comune a loro volta, come il
Mondo Occidentale un tempo Romano si accingeva a fare.
Carlo dei Franchi, Magno pure lui, venne incoronato e
consacrato Imperatore dei Romani a Roma nella notte di Natale dell’800. Ci
teneva tanto che qualche anno dopo lasciò circolare la voce che gli fosse stato
imposto, per non irritare ulteriormente l’impotente Basileus di Costantinopoli.
Nel ritorno, era ancora in Umbria quando quella primavera uno spaventoso
terremoto atterrò definitivamente i fori imperiali e gran parte degli edifici
abbandonati ancora in piedi che aveva visitato ancora un quarto di secolo prima,
dopo due e mezzo di abbandono o riutilizzo senza che un Imperatore Romano si
preoccupasse più di loro.
A dispetto o conferma di tutte le forme, la sostanza diceva
che la Storia di Roma antica e della sua originaria religiosità era
definitivamente finita, cominciava davvero quella della Roma cristiana
medievale, e andrà avanti ancora per un po’, con altri Sodales e altri
Augustales, o meglio Papales…
Ih! troppa grazia sant'Antonio!
RispondiEliminaScherzo, ovviamente. Grazie per avermi accontentata, gli ho dato una scorsa rapida e me lo rileggerò con la calma e l'attenzione che merita.
Auguri di buone feste e soprattutto di un nuovo anno migliore! <3
Conosci la mia amica Enza Cavallero, ampelografa?
RispondiEliminaA parte questo incipit-off-topic, il tuo luuuuuuunghissimo articolo me lo sono bookmarkato e quando mi sentirò in vena lo leggerò assai volentieri, nel frattempo che palle 'sta storia "perché i laici festeggiano il natale?"!!!
Personalmente mi sono stufato di sentirmi in dovere di giustificarmi, al posto comunico l'idea che io NON sono a-qualcosa (tipo a-teo) ma semplicemente "normale", sono quelli che obbediscono ai comandamenti degli amici immaginari ad essere "stramboidi"!
Aspetto con ansia il capodanno ed il carnevale, per chiedere agli stramboidi perché mai festeggino tali eventi, dopo avermi criticato per i aver fatto i regali di natale!
A me non me ne frega una cippa nè di Gesù ne del Sol Invictus, per convenzione in quei giorni non si lavora e tanto basta per mettermi nelle condizioni di spirito di festeggiare! :D
Io sì che la conosco (e saluto, buon anno!) ma non avrei mai immaginato che fosse un'ampe--quella-roba-lì.
EliminaPer le feste noi pastafariani abbiamo una regola semplice: quando è festa per qualcuno è festa anche per noi.
& vist la stagione: buon anno!(nèh!).