Più volte ho parlato agli amici su
Facebook dell'uva meravigliosa che avevamo finalmente quest'anno:
dopo molti mesi quasi ininterrotti di pioggia dall'autunno 2010
all'estate 2011 e un prolungato periodo di siccità che durava
dall'ottobre 2011, l'uva era incredibilmente bella e sana, e in
quantità decisamente copiosa.
Nei due anni precedenti non avevamo
potuto vendemmiare, l'uva una volta era stata rovinata dalla
peronospora e l'anno dopo marcita a causa del maltempo.
Stavamo effettivamente attendendo il
giorno fissato per la vendemmia con molta ansia e aspettativa,
malgrado il caldo atroce (35º gradi e oltre, in casa 28-30º!). Si prospettava "la vendemmia della nostra vita", migliore di quelle passate e probabilmente di quelle future!
Finalmente, arriva la sera precedente
al sabato 15 settembre, giorno X … e io mi ammalo!!!
Cap. 2 – la malattia
all'entrata in ospedale ti mettono un bracciale di riconoscimento |
All'inizio poteva apparire come un
brutto episodio di dolorosissima gastrite, poi con i giorni è stato
chiaro che si trattava di qualcosa di più, vista anche la febbre
alta che non passava con gli antibiotici. Ci siamo allora rivolti al
Pronto Soccorso (Urgencias) dell'Ospedale dove già ero stata operata
anni fa. Lì mi hanno fatto un'analisi del sangue e una ecografia, da
cui risultava che si trattava di calcoli biliari nella cistifellea:
il colpevole della crisi acuta era uno di essi, di 1 cm., incastrato
nel dotto... Mi hanno attaccata una flebo con l'antibiotico e il
paracetamol che già stavo assumendo da tre giorni e mi han messa in
lista d'attesa per il ricovero. Ore dopo mi han comunicato che
dovevano inviarmi all'altro Ospedale per competenza territoriale, e
infatti verso le 8 di sera mi han trasportata là con un'ambulanza.
Cap. 3 – il trasferimento
Con tutto il
rispetto verso chi viene ricoverato al Pronto Soccorso per qualche
problema reale (ne sono un esempio), ho potuto notare che moltissimi
dei casi riguardano persone che non han voglia di attendere la visita
di un dottore di base o di uno specialista e cercano la scorciatoia,
molti altri casi sono di persone che i parenti vogliono togliersi di
torno almeno per qualche ora...
dalla brandina del Candelaria |
Mentre però al primo Ospedale (N.S. di Candelaria) tutto è ben organizzato, si attende il risultato della prima visita in una saletta d'attesa (purtroppo con l'onnipresente televisore senza possibilità di spegnerlo o cambiare canale...), dopo di che il paziente trattenuto per il ricovero ha diritto a un lettino diviso dagli altri da una tenda e il personale appare tutto efficiente e attivo, tutt'altra faccenda è il secondo Ospedale cioè l' Uni-versitario.
La prima cosa di
cui mi sono resa conto era la mancanza di copertura del cellulare,
cercavo di avvisare mio marito dell'avvenuto trasferimento di cui si
era parlato ore prima, mentre nel frattempo era andato a casa a
cercarmi qualche oggetto utile durante la degenza. Per fortuna ho
ottenuto che venisse avvisato dalla segreteria.
Non ho potuto
vedere il locale “di primo impatto” dove attendono i nuovi
arrivati per cui racconto della mia esperienza. I pazienti in attesa
di ricovero rimangono un certo tempo sulla sedia a rotelle, dopo di che
(parlo della mia esperienza personale) passano a un lettino in una
specie di celletta, in cui vengono visitati da un dottore, nel mio
caso aveva già i risultati delle analisi fatte per cui si è
limitata a confermare il ricovero non appena ci fosse disponibilità
di un letto.
Cap. 4 - la Corte dei Miracoli
A questo punto è
iniziato l'incubo: già avevo visto l'affollamento nei corridoi,
avevo notato infermieri (tra cui diversi obesi gravi...) che giravano
di qua e di là pigramente con l'atteggiamento di chi non sa come
passare il tempo in attesa della fine del turno, già avevo ascoltato
le grida, i lamenti, ma non avevo ancora immaginato il peggio: mi
hanno portato in una stanza di circa 4 x 4 metri o meno in cui
c'erano 10 poltrone reclinabili azzurre (mi han detto poi che erano
ambite, chissà cosa dovevano essere le altre stanzette d'attesa),
una a fianco dell'altra senza spazi intermedi. Tra le due file di 5
c'era uno stretto e trafficatissimo corridoio di passaggio, che
portava ai servizi (unici? non sono riuscita a saperlo). Al momento
c'erano solo altri 3-4 pazienti, dalla donna apparentemente incinta di
7 mesi ma affetta invece da idropisia alla giovane con un dente
dolorosamente rotto che evidentemente non voleva andare da un
dentista a pagamento né attendere mesi per il dentista della mutua,
a un fumatore incallito con problemi di respirazione... in seguito la
saletta si è riempita, sentivo nelle costole il bracciolo del mio
vicino di sinistra che si espandeva a mie spese per poter comunicare
col suo smartphone – eh sì, perché nonostante il mio normale
cellulare non avesse copertura e malgrado i numerosi cartelli di
divieto dell'uso dei cellulari, tutti i numerosi smartphone presenti
funzionavano a tutto spiano!
Il tutto mentre
un' impiegata della segreteria, riconoscibile per il gilet verde,
continuava a girare in tutti i locali facendo un controllo di chi
stava dove, perché in apparenza chi voleva e poteva non essendo
legato a una flebo si spostava di qua e di là diventando
irreperibile...
In questa
bolgia, pochi infermieri controllavano di tanto in tanto il livello
delle flebo, io ho dovuto sganciare la mia, esaurita da più di
mezz'ora, da un gancio appeso al soffitto (non c'era spazio per i
normali trespoli a rotelle) per andare a cercare un infermiere che la
sostituisse: a cambio effettuato, ha dimenticato di aprire il flusso,
per cui solo un'ora dopo son riuscita, grazie a un' altra infermiera
che passava di lì, a farmi sistemare.
Mi chiedo se mettano apposta
gli “scarti” di personale in questo reparto per scoraggiarne
l'abuso...
Tutti
indistintamente gli infermieri del reparto erano piuttosto brutti a
vedersi e con aspetto poco efficiente, a parte una di mezza età e
piccoletta che continuava a girare con espressione indaffarata ed
efficientissima (ma in tutto il tempo non ho visto che facesse
veramente qualcosa) e due bellissime addette alla pulizia (poco
efficienti anche loro, da quanto ho visto nei servizi): alte, snelle,
capelli lisci neri lunghi trattenuti da un fermaglio, con andatura
quasi regale, non fosse stato per la divisa le avresti dette
trasportate lì di peso da un locale andaluso di flamenco...
Ma quel che mi
ha sconvolto di più sono stati i degenti. Per esempio: pare che ci
sia una tipologia specifica di donna, che ho trovato in entrambi gli
ospedali, che passa il tempo a urlare “En-fer-meeeee-raaa!” o “Un
medico!”, “Por favor, un calmante” con voce lamentosa quella
del Candelaria (immagino che per qualche motivo non potessero darle
un (altro) calmante, a me per esempio non han dato acqua per una
settimana), mentre quella dell'Universitario gridava con modi
imperiosi la stessa litania “En-fer-meeee-raaaa!”. Così per ore
e ore, entrambe. O l'altra che con modi di volta in volta suadenti o
imperiosi chiedeva a tutti gli estranei (mai agli infermieri) che le
passavano accanto di toglierle la “via” (chiamano così l'ago
infilato nel braccio in attesa di essere eventualmente collegato a
una flebo o per estrarre sangue da analizzare).
All'Universitario
c'era la fumatrice incallita che ha passato tutto il tempo, giorno e
notte, a sbraitare perché voleva una sigaretta... Un'altra dallo
sguardo allucinato era entrata al Candelaria per problemi psichici,
ma dovevano essere proprio lievi perché l'hanno dimessa subito,
sebbene continuasse a chiamare al telefono il proprio psichiatra...
Il peggio però è stato quello che aveva problemi intestinali, non
entro in dettagli.
La notte passò,
il giorno in qualche modo passò, verso sera finalmente l'agognato
trasferimento in un letto! Non essendoci posto in Chirurgia, mi sono
ritrovata in Nefrologia, ma contentissima.
Qui il personale
era tutto (be', quasi tutto...) competente, professionale ed
efficiente.
Finalmente il
cellulare aveva copertura e anche possibilità di ricarica, ho potuto
avvisare mio marito.
Cap. 6 – frattanto...
Frattanto,
mentre ancora ero febbricitante e dolorante a casa, mio marito ha
dovuto iniziare la vendemmia da solo, sotto quello che qui si chiama
“un sol de justicia”, non so come sia riuscito, poveretto.
Noi vendemmiamo
solo l'uva che possiamo poi vinificare con la nostra scarsa
attrezzatura da dilettanti e lo scarso spazio per conservare il
mosto. Poi nello stesso giorno la pestiamo “a piede” e nel caso
dell'uva bianca una volta schiacciata la torchiamo subito perché il
mosto non assuma colorazioni forti. Ecco, in questa prima vendemmia
di uva nera mio marito si è fatto tutto da solo circa 160-180 chili
d'uva. A sera era distrutto, il mattino dopo ha dovuto accompagnarmi
in ospedale.
Mentre ero degente poi ha dovuto continuare. Non c'era la possibilità di aspettare il mio ritorno, era attesa una “tormenta tropical”, in pratica un uragano, che avrebbe potuto distruggere tutto il raccolto. “El Gobierno autonómico informó el viernes que desde este domingo día 22 todo el archipiélago entrará en situación de prealerta meteorológica, ante la incertidumbre respecto a lo que pueda ocurrir con ‘Nadine’ “. In quei giorni c'è stata una corsa in molti vigneti per arrivare prima della tempesta.
Così, sempre sotto un sole rovente, si è dovuto accollare dapprima la 2ª parte di uva nera (altri 150 chili), e poi in altra giornata i 200-220 chili di bianca, con torchiatura e tutto. Alla fine era stremato.
Il resto dell'uva, circa altrettanta, è
rimasta sulla vigna, da mangiare/regalare agli amici/alla mercé
degli animali assetati.
il grappolo di 40 cm. è scampato alla vendemmia ma non alle mie forbici... |
anche questa l'abbiamo regalata |
Cap. 7 – conclusione
Finalmente,
l'ottavo giorno dal mio ricovero nel primo Pronto Soccorso,
tredicesimo dall'inizio dei problemi, sono ritornata a casa! A tempo
per poter festeggiare, due giorni dopo, sia il compleanno di mio
marito sia il nostro anniversario di matrimonio.
Non appena ne
sono stata in grado, sono andata a vedere il risultato della
vendemmia della nostra vita.
il mosto della 1ª vendemmia nera |
il mosto della 2ª vendemmia nera |
e infine il mosto della vendemmia bianca: non c'era più spazio in cantina... |
Ora attendiamo il risultato dell'analisi dei mosti. Ma a me resta il rimpianto di non aver potuto partecipare attivamente....
Piccole informazioni utili nel caso sfortunato dobbiate esere ricoverati in Canarias: l'orario dei pasti nell'ospedale non è come in Italia alle 6-12-18 bensì, presto per loro ma in orario normale per noi italiani, alle 8-13.30-20.30.
Le visite
erano ammesse dalle 12 alle 20, ma molti “sforavano”.
Informazione
utilissima: la “padella” si chiama “el chato” e il
“pappagallo” è la “botella”.
Cara Bruna,
RispondiEliminabrutta esperienza, ma alla fine tutto bene, sono contento per te. Mi sembra comunque tutto molto simile agli ospedali italiani che ho conosciuto (a quelli che funzionano, intendo). Sii felice, e goditi il tuo vino (con moderazione)
Dai bello, il racconto intendo.
RispondiEliminaPoi per gli ospedali se ne potrebbero raccontare, anche quando funzionano. Due cose veloci, dell'Ospedale dell'Università di Torino (che funziona benissimo): due infermiere parlavano continuamente (cioè tutti i giorni che sono stato ricoverato) dei loro casi personali e una viveva con un compagno che era davvero un pezzo di m***; Quando hanno attivato la registrazione delle prenotazioni direttamente collegata alla visita io c'ero e il dottore dice "lo prenotiamo per il giorno X" l'infermiera presente è uscita di corsa per rintracciare quella che aveva capito come si usava il 'puter, era davvero terrorizzata di doverlo fare lei.
Accidenti che calvario! Ma quando lo togliamo il sassolino, che tanto bisogna pur farlo prima o poi!
RispondiEliminaSpero presto, ma dipende dagli interventi più urgenti che hanno, la mia faccenda è sotto controllo finché osservo la dieta prescritta.
EliminaDi tutto quanto sopra l'unica cosa che mi è seccata veramente è stata perdermi la vendemmia, dannazione!!!
Bruna, un abbraccio!
RispondiEliminaBegonia, ricambio l'abbraccio! <3
Elimina