giovedì 8 gennaio 2015

Il mio paese natìo

Quando ero bambino abitavo alla periferia di un paese ai piedi della montagna. D'inverno nevicava spesso e, io e mio fratello, più piccolo di me, ci mettevamo a seguire le impronte dei cani sulla neve.

A casa c'era nonna, che ci accudiva premurosamente. Mio papà, operaio, rientrava non prima delle 19. Mamma, cagionevole di salute, era sempre in ospedale.

Non avevo altri amici, se non mio fratello, più piccolo di me di quattro anni.
Il televisore, all'epoca, era in bianco e nero, ma nonna non ce lo faceva guardare, diceva che bisognava studiare, imparare le poesie a memoria e le tabelline.

Nella mia stanzetta tenevo, di nascosto, un mangianastri. Solo un mangianastri, senza audiocassette, per intenderci. Non lo ascoltavo, lo guardavo, e mi immaginavo la musica. Sentivo prima il pianoforte, poi la tromba e infine il sax. Adoravo il sax. Alcune volte sentivo anche la fisarmonica.

Alla fine degli anni '70, il mio paese era ancora negli anni '60. Non ha mai recuperato il gap. Neanche oggi, che non è più il mio paese.

Il parroco guidava una 500, ed era già moderno, perchè non portava più l'abito talara. Aveva gli occhi come David Bowie, e parlava come Enrico Beruschi. Per un po' di tempo ho pensato fosse proprio lui, e durante la messa aspettavo invano una sua battuta per ridere.

A messa si andava tre o quattro volte all'anno. La domenica bisognava andare in campagna. Lì vivevano i miei nonni paterni e di giorno si correva per i prati in cerca della lucertola a due code. La mia bisnonna diceva che avrebbe portato fortuna. L'ho vista solo una volta, e lo stesso giorno morì mio nonno. Da allora non l'ho più cercata. Mi dedicai ad altro, come costruire robot con i resti delle lavatrici dismesse. E qualche volta davo fuoco alla stalla, che era colma di fieno per gli asini.

Non avevamo il bagno in casa, non avevamo il telefono. Per telefonare ai miei zii in Germania, bisognava andare da un'altra zia, che abitava in paese. Si andava da lei ogni mercoledì sera, verso le 21. Poi si telefonava, ma non direttamente ai miei zii emigrati in Germania, ma ad una signorina, che ci avrebbe poi messo in contatto con loro. Sinceramente non ho mai capito il perchè. Diventammo amici anche con la signorina, tant'è che quando i miei zii tornavano, d'estate, noi andavamo lo stesso a telefonare dalla zia in paese, per salutare la signorina.

Il mio primo vero amico fu un giovane marocchino, che vendeva musicassette al mercato. Un giovane marocchino con il turbante. Avevo 7 anni e lui ne poteva avere 20. Un giorno andai da lui con 500 lire per comprare una musicassetta e poter usare, finalmente, per la prima volta in assoluto, il mio mangianastri segreto. Mi disse che i soldi non bastavano, mancavano ancora 1500 lire. Allora pensai che forse avrei potuto rimediare dandogli anche il mio panino e due quaderni a quadretti...Lui si mise a piangere e mi diede con 500 lire non una, ma tre musicassette: Tutto Bobby Solo, Little Tony e i Cugini di Campagna. Che culo, però.

Quelle sue lacrime furono le lenti attraverso cui iniziai a guardare il mondo. E con il senno di poi capii tante cose.




4 commenti:

  1. Luigi questo post meriterebbe un commento lungo. Purtroppo i tragici eventi non mi lasciano il tempo e (soprattutto) la concentrazione necessaria per dire altro che bravo!

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  2. Capisco bene, Juhan...

    "Ha paura della satira chi ha qualcosa da nascondere. A volte ciò che si ha da nascondere è un edificio complesso, una sovrastruttura che alimenta magari flussi di denaro o flussi di idee, e che non si vuole sia intaccata dal dubbio." Daniele Luttazzi

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  3. Gran bel "quadro" @luigi, uno di quelli tipo il tuo mangianastri segreto dove i suoni si immaginano; di quei quadri che guardi e ci vedi sensi, sensazioni ed emozioni in movimento. Un quadro, un racconto,... una storia.
    Grande!

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