Kolkata - marzo 2015 |
Chissà come è andata la giornata. Prakash conta i soldi; forse, pagato l'affitto del risciò qualche cosa rimarrà. Oggi ha anche mangiato qualche cosa per la verità, due samosa saporitissimi che gli ha lasciato in un cartoccetto il figlio di Banjul, prima di scaricarlo come ogni giorno davanti a scuola e un mezzo chapatti ancora caldo che una signora con un sari azzurro cielo, tutto bordato d'argento, stava buttando via, anche se poi non ha lasciato nemmeno una rupia di mancia e c'è stato pure lo spicciolo per un pan, il cartoccetto di foglia di banan con qualche pezzetto di noce di betel. Lo ha preso da Rajiv, un amico, lui li fa speciali, i pan e ci mette sempre anche un po' di spezia di una miscela segreta che faceva già suo nonno e quel gusto gli piace, cuoce completamente la bocca tanto è forte e gli fa sembrare quasi di avere la pancia piena. Se lo mastica e rimastica per tutto il giorno anche quando scruta i possibili clienti, da lontano e fa suonare il campanellino che tiene nella mano destra attaccata alla stanga, col bolo ruminato nel rigonfio della guancia. Lo tiene talmente a lungo che non si ricorda bene neppure quando se lo è messo in bocca. In fondo è bello non stare a pensare a queste cose e poi, quando finalmente si decide a buttarlo a terra con un gran sputazzo che colorerà il marciapiede di rosso vermiglio, non deve neanche stare lì a domandarsi se c'è anche un po' di sangue in mezzo.
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