sabato 14 dicembre 2013

Una storia su Einstein

Come classificare questo post? Boh, soluzioni possibili:
  • non ho niente da scrivere e allora copio;
  • è pubblicità di un post futuro (di Marco Bruno?) su L'Universo Senza Stringhe di Lee Smolin;
  • varie ed eventuali (ho visto che sta sempre bene purché sia all'ultimo posto, come la maglia nera al Giro (quello meno dopato)).
Per chi ha il libro, raccomandato, trova tutto a partire da p.49, per gli altri ecco...


Il mio primo lavoro dopo il dottorato iniziò nel 1979 all'Institute for Advanced Study, a Princeton. Una delle ragioni principali che mi avevano spinto ad accettarlo era la speranza di entrare in contatto con qualche eredità vivente di Einstein, che era morto ventiquattro anni prima. Quanto a questo desiderio, rimasi deluso: a parte un suo busto nella biblioteca, non c'era traccia dell'epoca di Einstein. Non era possibile incontrare suoi studenti o seguaci. C'era solo qualcuno che l'aveva conosciuto, come il fisico teorico Freeman Dyson.
Qundo ero arrivato da pochi giorni, Dyson, un vero signore, venne da me per invitarmi a pranzo. Si informò del mio lavoro e domandò se potesse fare qualcosa per farmi sentire più a mio agio a Princeton. Avevo un'unica richiesta. "Potrebbe dirmi com'era veramente Einstein?", gli domandai. "Mi dispiace molto, ma in questo non posso aiutarla", rispose. Sorpreso, insistetti: "Ma lei è arrivato qui nel 1947 e fino a quando Einstein morì, nel 1955, è stato un suo collega".
Anche lui, mi raccontò, era venuto a Princeton nella speranza di conoscere Einstein. Appena arrivato, si mise quindi in contatto con la sua segretaria, Helen Dukas, per fissare un appuntamento. Il giorno prima della data stabilita, cominciò a preoccuparsi di non avere alcunché di specifico da discutere con il grande fisico, perciò si fece dare dalla signorina Dukas una copia dei più recenti articoli scientifici di Einstein. Tutti descrivevano i suoi tentativi di elaborare una teoria unificata dei campi. Dopo averli letti, Dyson decise che erano ciarpame.
La mattina seguente si rese conto che, pur non potendo dirgli in faccia che cosa pensava del suo lavoro, non avrebbe neanche potuto dirgli il contrario. Annullò l'appuntamento e fino alla sua morte, avvenuta otto anni più tardi, passò il tempo a cercare di evitarlo.
Non riuscii a dire nient'altro che un'ovvietà: "Non crede che Einstein si sarebbe potuto difendere, spiegando i suoi motivi?"
"Certo - rispose Dyson. - Ma passarono anni prima che me ne rendessi conto".



Non so voi ma a me questa storiella piace oltre ogni limite, per tanti (troppi) motivi che lascio alla vostra immaginazione. E mi consola che anche i grandi sbagliano; anche quando pensano che siano gli altri a sbagliare e ...

Mi sa che se piace anche a voi, in attesa della recensione seria (di MB?) dovreste cominciare a pensare di procurarvelo. O aspettare i prossimi post sull'argomento (ho otto segnalibri ma non trattenete il respiro, non arriveranno mica subito, c'è anche altro qui a Piubes e nel resto dell'Universo).

5 commenti:

  1. Però, quando si parla di onestà intellettuale...!
    MB è un pò incasinato, i problemi attuali si chiamano burocrazia e tasse. Ne riparliamo quando avrò la mente più sgombra e tempo di leggere Smolin.

    (p.s.: ma un tasto "weather on/off" che disabilita la neve, no, eh?)

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  2. "anche i grandi sbagliano; anche quando pensano che siano gli altri a sbagliare e ..."
    Sacrosanto!

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