mercoledì 11 novembre 2015

Biondo oro liquido


"Monte Oliveto Maggiore (orci)" di Luigi Venturini - Flickr. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - 

Una delle polemiche di questi giorni è quella sull'olio di oliva extravergine detto anche EVO, dalle iniziali in inglese.

Ricordo che taaanti anni fa un produttore di tale olio mi disse che la normativa (europea?), all'epoca recentemente adottata, che toglieva dall'etichetta il nome del produttore imponendo solo quello dell'imbottigliatore, avrebbe portato a frodi, nel senso che olio spagnolo o di altri paesi sarebbe stato fatto passare per "olio extravergine italiano".

Ciò è puntualmente avvenuto, attualmente la "produzione" italiana  sfoggia in gran percentuale olio spagnolo, ma anche greco, marocchino o altro...

Questo ha consentito la vendita al pubblico di EVO al prezzo poco superiore ai 3€ il litro (ricordiamo che all'ingrosso, sfuso,  l'olio si vende "al chilo" ovvero 1,1 litri/Kg.), mentre l'olio di produzione italiana è più caro.  (Quest'anno però anche in Spagna il prezzo è aumentato, a causa di uno scarso raccolto)




Comunque, non contenti di spacciare implicitamente o anche esplicitamente per italiano olio di altra origine, alcuni produttori imbottigliatori hanno giocato sporco, presentando come extravergine olio che non aveva le caratteristiche richieste per fregiarsi di questa denominazione.
Se ne parla per esempio qui.

Intendiamoci, la frode consiste non nel vendere un prodotto nocivo, bensì nel vendere a caro prezzo quel che in realtà vale meno (come se vi vendessero un cellulare cinese di gamma bassa facendolo passare per un iPhone...)

Per fortuna, a fronte dei grandi "produttori" (molti ora sono di proprietà spagnola, figuratevi se non "pasticciano" un po' con l'olio spagnolo e marocchino) ci sono tanti piccoli frantoi, che lavorano olive della zona, spesso piccole produzioni per il consumo familiare.

Porto un esempio che ben conosco. Come alcuni di voi sanno, il mese scorso sono dovuta andare per motivi familiari in Umbria. Sono rimasta 24 ore scarse, ma ho avuto modo di rivedere il ciclo della produzione dell'olio.

Innanzi tutto, per ottenere olio di bassa acidità che possa essere chiamato extravergine, le olive non si "bacchiano" come fanno in alcune  zone per la raccolta, ma si "brucano" a mano.




Praticamente tutto il paese è occupato in questa operazione, per vari giorni. Inoltre, il raccolto si fa scaglionato, d'accordo e su appuntamento con il frantoiano, in modo da garantire che le olive vengano lavorate nell'arco di poche ore dalla raccolta.  Questo consente anche che il produttore delle olive possa assistere di persona alla frangitura e spremitura, e portarsi via il suo proprio olio!



Si incomincia con la pesatura delle olive, che vengono immesse in una tramoggia collegata alla bilancia.



la macina di pietra sullo sfondo funzionava nel frantoio fino ai primi anni '70, ora è stata sostituita da moderne macchine


le casse grigie contengono circa 300 kg. di olive






Da questa pesatura (all'esterno del frantoio) le olive vengono incanalate alla macchina lavatrice, già all'interno





Passano poi alla macchina che frange, e da lì a un'altra macchina che impasta finemente (gramolatura) e un'altra che spreme a freddo, filtra l'olio e con una centrifuga separa l'acqua di vegetazione dall'olio stesso.

gramolatura delle olive frante
Nell'olio appena fatto resta comunque in sospensione una piccola quantità di microparticelle di polpa:  un olio appena fatto è abbastanza torbido, se si lascia decantare diventa limpido e forma un piccolo deposito scuro sul fondo del recipiente.








Nel caso specifico anche il frantoiano è produttore d'olive, con un grande oliveto, altre le compra in loco, per cui vende il suo proprio olio, tutto della zona del Trasimeno.

un tempo l'olio si conservava in orci di coccio, ora in cisterne di vetroresina




Un tempo, ricordo, il procedimento -pur sostanzialmente uguale (pulitura, frantumazione, spremitura, centrifugazione)-  veniva fatto con altri macchinari: la frangitura veniva fatta con la già citata macina di pietra, che girava all'interno di un gran vascone.

L'impasto risultante veniva spalmato sopra una specie di cercini di corda (ricordavano certi zerbini, come apparenza, però rotondi e con un buco nel mezzo, ho saputo che si chiamano "fiscoli")  che venivano poi impilati sopra un asse metallico (tipo una pila di Volta!) e pressati da una pressa idraulica, mentre il misto di olio e acqua che fuoriusciva veniva incanalato alla centrifuga.



Immagino che la resa fosse minore, ora varia a seconda della qualità delle olive e del tempo atmosferico prima della raccolta, da un 15-16% fino a un 20% circa.

La pasta di frammenti di seme e polpa che rimaneva sopra questi cerchi di corda si chiamava (si chiama tuttora ) "sansa": non si buttava, veniva inviata a un altro tipo di oleifici, che estraevano, questa volta a caldo o con sistemi chimici, altro olio di qualità meno pregiata.

Un altro uso della sansa, ben spremuta, è per alimentare certe stufe.
Inoltre sia la sansa sia l'acqua di vegetazione possono essere usate in agricoltura per concimare.

Per chi volesse approfondire c'è sempre Wikipedia.

Per il sistema tradizionale, potete leggere qui.




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