lunedì 25 marzo 2013

La panchina




LA PANCHINA

Medioevali e marinai, noi,
cerchiam posto in codesta bottiglia,
sperando che con il favore del tempo
alcuno spezzi l’albero maestro di nostra esistenza


Poeta o scrittore, non ricordo,
abbastanza famoso un tempo.
Di giornali vestito e poi…
Rauco in gola, con le mascelle al massimo,
spalancava la bocca ed inspirava l’ossigeno necessario
per poter continuare il suo viaggio nel tempo.

Mare, vento; altro non fanno
che cullar corpi dal peso morto,
galleggianti fin la deriva
ove il sole disperato cerca,
ma non trova


Quel legno nodoso,
saldamente stretto in mani nodose,
altro non è che un bastone nodoso
incaricato di sorreggere le ossa del suo padrone.

Quale bottiglia?
Ormai questo muro è entrato nelle nostre vene
e ci ha squarciato le tempia


Era l’amico di tutti,
o almeno credeva d’esserlo l’illuso.
Sempre su quella panchina
immersa nell’eterna primavera,
con le ginocchia scricchiolanti l’un sopra l’altra,
le bretelle sbottonate per il troppo caldo
e l’ombra di quel vecchio cappello,
che persisteva nel coprirgli il bagliore
di quegl’occhi ormai stanchi.

Con la pipa fumante e
l’inseparabile calzino a strisce
intorno al collo sudato,
era lì, a respirare il profumo della vita altrui,
per prolungare la sua esistenza.
E se gli uccelli eran tristi
se la prendeva con quei quattro ragazzini chiassosi.

Abbian toccato, purtroppo,
l’ultimo fatidico mattone.
Non ci resta che saltare


Ce ne andiamo senza lasciare nulla di noi,
solo il puzzo che i nostri corpi hanno impregnato
su codesta, amica, panchina.
Troppo in fretta il fumo si è levato,
senza che la cenere si mescolasse al fango


E’ ora di dare un calcio a questa cicca
e lasciare il posto, su questa panchina,
ad un altro ex poeta e ad un altro illuso.
Forse a loro sarà consentito
udire il cinguettio degli uccelli,
malgrado il fracasso che fan le vite
di questi quattro ragazzini


E’ sera, e nel parco,
due corpi silenziosi riposano l’uno accanto all’altro.
Uno di questi stringe nella destra
il beccuccio di una pipa fracassata,
ancora fumante,
l’altro tende le dita verso un pezzo di legno,
nodoso.

E’ stato abbastanza facile malgrado la paura
penserà l’ex poeta.

Sembrava di volare
ci sei anche tu,
stupido illuso dal collo sudato.

Il filo teso aveva piegato l’albero
e la bottiglia è, ora, accogliente
(bisogna per forza volare perché lo sia?)

Ecco!
Due cani annusano la panchina, ma non osano.
Riannusano e decidono per quell’albero,
le cui foglie, ormai senza vita,
riparano dal freddo il silenzio del parco.

                                                                di Uno


Di notte
Scritte di Uno
Donna

PS di Marco:
Uno non lo dice, ma a quei tempi, in una sgarrupata provincia meridionale, qualche pazzo masochista organizzava un anonimo concorso di poesie per anonimi Uni e tra le tante Scritte che arrivavano, quell’anno (1989), “La panchina” gli diede qualche soddisfazione. In quella occasione indossò per la prima volta la cravatta e le scarpe con la suola di cuoio perché il prete gli aveva detto che in certe occasioni era cosa buona e giusta. Credo non l’abbia mai più fatto; cosa? Indossare cravatta e scarpe di cuoio o una cosa buona e giusta? Che non è che le due cose debbano per forza andare insieme, anzi…

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