sabato 9 febbraio 2013

Peregrinando per farine

Panificare in casa ha i suoi evidenti effetti secondari. Qualcuno immediatamente visibile,  altri li si intuisce dopo qualche tempo. Così il sabato, per me giorno libero da lavoro, da qualche settimana  è diventato una sorta di girovagare per i market alla ricerca di farine nuove. Ed è a girare fra i reparti delle materie non lavorate come la farina, che si incontrano le altre massaie e ribadisco massaie. Solitamente non sono donne giovani e al sentire proferire la frase pane fatto in casa si lanciano nell'amarcord della panificazione casalinga di un tempo. E allora si rimane lì in sosta tra una farina e una semola a parlare di come un tempo ci si arrangiava a cucinare. Si scopre che anche qui si faceva una sorta di piadina, si cucinava semplicemente nel camino dopo aver spostato le braci, che spesso il pomodoro non c'era e allora i gnocchetti di semola fatti in casa si cuocevano nel latte e venivano con tutt'intorno una crema filante che solo le mani d'artista della mamma e la mancanza di tutto rendevano gustosissimi. E poi i forni a legna e le macchine per lavorare gli impasti, di solito una per tutto il vicinato e la lavorazione si pagava in farina o in ciò che si possedeva. Chi non aveva nulla da dare se non la fame, faceva a debito. 
Così sabato dopo sabato mi sono resa conto che davanti agli scaffali dei super mercati sostano categorie diverse di persone, davanti ai cibi pronti c'è un tipo di cliente, davanti alle farine un altro, agli insaccati un altro ancora e via dicendo. E le storie migliori, come quella dei gnocchetti cotti nel latte che prima o poi dovrò conoscere meglio, le puoi sentire da chi continua oggi imperterrito, dopo cinquanta, sessanta e passa anni a impastare in casa, non dico a fare il pane quello no, ma fare i ravioli, i gnocchetti o la fregola sarda. A proposito la conversazione è iniziata così: "Secondo voi questo rimacinato è adatto per fare la fregola?"

sabato 26 gennaio 2013

Una passione di pane

Mi pare un bel giorno questo, il compleanno di Bruna, (Auguri :*), che gentilmente mi ha invitato a scrivere al Tamburo, per iniziare questo dialogo.
A dire il vero un po' di soggezione ce l'ho. Io non ho mai scritto al di fuori dei miei blog, dove quando scrivo mi sento come a casa mia, so cosa si aspettano i miei lettori a anche io so già cosa aspettarmi da loro. Scrivere qui significa iniziare un dialogo nuovo con persone poco conosciute, trovare la strada per spiegarsi, farsi capire, significa entrare in una casa sperando di capirne il clima, lo spirito, coglierne le regole, rispettarne le usanze.
Tutte cose, beninteso, che andrebbero fatte sempre, ma qui ancora di più perché le nostre espressioni, la nostra mimica deve essere visibile attraverso le parole. Immaginatemi allora che gesticolo, sgrano gli occhi, vi sorrido, vi corrispondo con un cenno d'assenso com'è mia abitudine quando parlo. Io immaginerò voi, dapprima con i volti attenti nello sforzo di seguire, seri compiti fino a quando non si scioglieranno nel sorriso come ora.
Ma non voglio tediare oltre, non è mia abitudine, sollecitata dall'amica Bruna condividerò una delle passioni che in questo periodo mi tiene spesso inchiodata in cucina: la panificazione casalinga.
Pare che sia il trend del momento e non solo per via della crisi, ma chiaramente io questo l'ho scoperto solo ora.
Ho cominciato preparando il mio lievito madre, una procedura più semplice a dirsi che a farsi, che ha prodotto:

La  mia prima focaccia

Il primo pane al latte

La torta brioche fior di latte

e freschi freschi di qualche ora fa i cracker, ancora da migliorare, ma ottimi.

venerdì 25 maggio 2012

Un fatto strano, ma neanche troppo.

Non so se v’è mai capitato, o per lo meno se v’è mai capitato di pensarci, ma proprio l’altro giorno mi sono resa conto che mi trovavo, mio malgrado, spettatrice delle vite altrui … mi spiego meglio:

tutti i giorni, per andare e tornare da lavoro percorro in auto la stessa strada (minuto più minuto meno sempre alla stessa ora) e  mi sono accorta che tutti i giorni incontro sempre le stesse persone; la vecchietta che esce con il suo cagnolino, la quale non sa che ormai sono quasi tre anni che involontariamente la “spio” e non sa neanche che quel cagnetto l’ho visto cucciolino, e che ormai è, si può dire, un cane adulto. Lei non lo sa, ma io quasi me l’aspetto d’incontrarla, e se per caso non la vedo mi pongo la domanda sul perché.


Poi ci sono i soliti tre/quattro amici(?) che si ritrovano al bar per l’aperitivo, sempre nel dehors estate ed inverno e sempre allo stesso tavolino: purtroppo passo in auto, come già detto, e quindi non faccio in tempo a notare se bevono anche sempre la stessa cosa.

Ci sono poi ancora i due fidanzatini (avranno al massimo sedici anni) che ormai da qualche mese siedono sempre sulla solita panchina o si salutano al solito semaforo.

Poi mi capita d’incontrare qualche automobilista che probabilmente fa spesso la stessa strada (per inciso la mia, almeno in parte) e che riconosco per qualche particolare sull’auto oppure per l’autoradio sparata a palla!!!

Pensandoci bene, ed è per questo che ho deciso di farci un post, sin da quando ero ragazzina mi accadeva questa cosa, anche se in maniera diversa perché nei casi che andrò a raccontarvi un minimo di contatto c’era…
Nel periodo scolastico per andare alle scuole superiori prendevo il bus che dal mio paesino mi portava alla città ed anche in quella situazione incontravo più o meno sempre le stesse persone, con la  differenza che, essendo uno spazio ristretto e sostando sopra il bus per almeno tre quarti d’ora,  era più facile accorgermi se qualcuno mancava all’appello e venire a conoscenza (ascoltando “involontariamente” i discorsi delle persone che conoscevano il tal dei tali in questione) del perché mancava, ma non solo, mi era anche più facile conoscere un po’ di più alcune persone piuttosto che altre, gira e rigira lo spazio era sempre il solito e facilmente mi ritrovavo seduta (se ero fortunata) o comunque in piedi  vicino sempre alla stessa gente ed alla fine, a lungo andare, senza neanche conoscere i propri nomi ti ritrovavi a salutarti o (e questo succedeva spessissimo a me) di essere svegliato quando era la tua fermata. Ed anche in questa situazione mi sono ritrovata spettatrice ed a volte per un minimo attrice della vita altrui, vedendo i cambiamenti o la crescita fisica della gente.

Per non parlare poi di quando portavo a spasso il mio cane, lì ovviamente incontravo sempre i soliti padroni di cani con i quali era molto più facile scambiare due parole, con alcuni di questi ho stretto una propria e vera amicizia o comunque un rapporto più stretto del solito “buongiorno/buonasera” e con altri invece sono rimasta solo ai saluti, con altri ancora neanche quelli  poi mi sono accorta col tempo che alcune di queste persone non le incontravo più e quindi anche li mi chiedevo il perché.

Mi sono resa conto che ogni situazione ripetitiva è un piccolo mondo a sé e che capita sovente di ritrovarmi ad incrociare (per modo di dire) le vite altrui senza che queste se ne rendano conto, e facilmente è una cosa che accade anche per le altre persone nei miei confronti, almeno credo.
Non so perché, ma mi sembra strano conoscere tutte queste persone ma in realtà non conoscerle affatto. Mi sembra strano incontrare queste persone perché magari abitano in zona e non potergli dire “hey ciao come stai? lo sai ti vedo tutti i giorni da 5 anni, ma non so nulla di te a parte ….il cane, il bar, il bus o qualunque sia il motivo per cui l’incontro”.
Probabilmente quel che per me è “strano” non è altro che la vita vissuta di tutti i giorni, insomma, è normale incontrare spesso alcune persone, ma non sono certa che tutti lo notino, in fondo io sono la prima ad essersene resa conto solamente dopo molto tempo….