domenica 31 gennaio 2016

Quanti?


Quanti sono i pianeti che si vedono nella foto?
Sì lo so che è facilissimissimo, ancora più facile di quanto pesa un mattone che pesa un kilo più mezzo mattone.

In ogni caso 2 milioni è eccessivo, esageratamente troppo. Nèh!

Ah! si da voi è sereno e siete mattinieri, qui.

sabato 30 gennaio 2016

Dal Telescopio Hubble

Una segnalazione di una segnalazione. Che segnala Paolo Pascucci su G+.


Non so se vi affascina l'astronomia (anzi, sono sicuro di sì, non riesco a immaginare il contrario, proprio no, nope) per cui abbandonate subito questo post e fiondatevi a: Hubble Heritage - Dedicated to finding the most visually appealing images from the Hubble Telescope.

Ancora qui?
Beh, ecco le mie preferite (ma devo esplorarlo tutto, il sito, catalogo rappresentativo dell'Universo).




Suggerimenti - 141


Golden ratio series

Corso di Astronomia 2016!

CERN Engineers Have To Identify and Disconnect 9,000 Obsolete Cables
un problema per Marco Delmastro?

Mi dia un libro su amore e matrimonio

#Ikea anti turbamento da arte classica

Where do the candidates get their money?


volvo testing a car that stops when it senses a human in front of it

Stasera ho un ospite inglese a cena

I Have Some Scientific Theories

Il nuovo logo di @EnelGroup

Tous les professeurs sont horribles


This is how Jupiter 'shepherds' the asteroid belt

Day 306. Here we go off into #sunset

A teen flew from Sheffield to Essex via Berlin because it was cheaper than the train

Forse agli occhi dei nostri posteri

Let's kiss under the starlight

Devo uscire


Il @BeppeBeppetti del pomeriggio

Ormai è un classico, ma fa sempre ridere

Andate qui, ingrandite la finestra, e spalancate gli occhi

Wise words

Elon Musk predicts

ieri è venuta a trovarmi un'amica appena divorziata


Come è fatta l’equazione di un ponte?


In 50-49 vote, US Senate says climate change not caused by humans

La Xylella e gli ulivi pugliesi: come nasce un delirio collettivo

F-35 software overrun with bugs, DoD testing chief warns
quello che piace tanto a noi

Tutti al Marò Day con #inostrimarò! #roar

Behind on that paper submission?


Domani vado a comprare una libreria Billy e la regalo a Giovanardi

Ho visto cose che Bondi

Pasta di stelle

Magalli a moglie Girone

buon family day

The Best Teacher I Never Had
Bill è da rivalutare: ha fatto anche del buono, proprio come Silvio


Prossimamente tutto sul pellegrinaggio di Appadreppio per l'Anno Santo della Misericordia. Ma la misericordia è solo per chi se la merita, nèh!

venerdì 29 gennaio 2016

Ciò e bròca

I commenti sono a volte (sempre per i miei post ☺ ☹) migliori del post stesso. Capita che allargano il discorso, correggono inesattezze (e/o errori anche grossolani).
Consideriamo però l'enorme varietà della parlata, anche per zone piccolissime. Ho sentito una mia amica torinese che non parla abitualmente dialetto anche se lo sentiva usare dai vecchi quando era piccola che non conosce la parola bròca. Un carpentiere (quelli che fanno i casseri per i muratori) mi dice che si usa solo ciò, sempre che si parli piemontese, cosa che ormai è improbabile.
Una cosa: ciòo non lo usa nessuno, solo ciò. Ci sono altre parole che qui hanno un suffisso solo mio|nostro: fenc al posto di fen (fieno) e monc invece di mon (mattone).
Online si trova qualche dizionario, per esempio il Michele Ponza.


È disponibile anche sull'Internet Archive, molto migliore. Ce ne sono tanti altri, prima o poi...


Il Ponza si scarica e si ottiene un PDF di 35 MB, 573 pagine, digitalizzate quindi non si può cercare il testo, sono immagini.
Poi me lo studio per bene, ci sono cose affascinanti, già a pagina x (11 del PDF) le declinazioni dell'articolo le (ci vorrebbe un punto sotto la e, come fanno i turchi).


Salta subito fuori che io lo parlo male, ma who cares, right or wrong me pais!


A p.228 del PDF c'è la bròca, però come broca, quindi da leggere "bruca" (no, vedi in seguito): broca, pcit ciò, ... (difficile da leggere).
Poi passa a brocà, broccato.
Ahimé mancano alcune pagine (dalla 275 si salta a 278, corrispondenti a 414 - 415 del PDF), niente ciò.
Questo è solo il primo volume, finisce con dvot, divoto, pio. Il sito Corte dei Rossi ha parecchie cose ma devo studiarmelo; e del Ponza ha solo quel volume.


Molto meglio il "Vocabolario_piemonteno_italiano_del_prof" (OK, dai!).
A p.240 la broca, sempre con o invece di ò.


A p.306-7 'l ciò.


Sì, c'è: rësponde ciò për broca, fig. stare alle riscosse, ribadire il chiodo, respinere le ingiurie, rispondere alle rime.

Leggendo le voci successive salta fuori che la ò non è mai usata, vedi p.es. Ciochè, (coll'o aperta) rispetto a Ciochè, sm. campanile.


A p.469 'l fen e p.618 'l mon. OK, sbagliavo io (ma qui tutti, o almeno diversi).

giovedì 28 gennaio 2016

Ciòo për bròca

No, nope, il browser funziona, adesso vi spiego.
Intanto, prima di subito: si pronuncia "ciou p'r broca" e sta per --ahemmm...-- chiodo per chiodo; adesso vi spiego.
Io non sono razzista ma linguisticamente, volendo dirla tutta-tutta, il piemontese (di cui esistono tantissimissime varianti, tra le quali la migliore, la mia) ha qualcosa in più.
Per esempio non si rischia di far confusion (pron "cunfüsiun")  tra diversi tipi di chiodi. Vero che è possibile disambiguare anche nelle altre lingue ma vuoi mettere!

Prima di continuare vi rendo edotti, metti che un domani dovesse venirvi a taglio...

Il ciòo (pron "ciou") (a proposito la "o" (pron. "u") finale pare sia solo usata nella mia zona) è il chiodo forgiato, come questi:


Sono quelli di una volta, ma adesso si usano le bròche (pron. "broche"), queste:


Ah! una cosa, guardate questa, immagine, chiodi vecchi dice la Wiki française:


il numero 3 è il ciòo rampin (pron. "ciou rampin"), quello che serve per appendere i quadri alle pareti. Rampin si traduce "storto". Questo è vecchio, forgiato, oggi non si trova più. È fatto come la bròca (pron. "broca") ma secondo voi (tension! (pron "tensiun!")) come si chiama? Ecco la risposta giusta è ciòò rampin (pron. "ciou rampin"), dicendo bròca rampin-a (pron. broca rampina, n nasale come in un francese) vi fareste ridere dietro, come quando fate mouses per il plurale di mouse.
Uh! ecco la bròca (pron. "broca") c'è anche per les français, loro dicono broque (pron "broc'").

OK, per oggi basta cultura linguistica, passiamo a disvelare il senso della frase.

Ciòo për bròca sta per fraintendimento, un po' come fischi per fiaschi in italiano.

Ma mica finisce qui, anzi tenetevi forte che adesso arriva il bello.
Una mia carissima amica, canavesana di origine ma adesso torinese usa una variante che, come dire, ecco

ciòca për bròca

(pron "cioca p'r broca") che sarebbe campana per chiodo. È bellissima! E fa rima! L'adotto (butelò a verbal (pron. "bütelo a verbal", sia messo a verbale).

La Bea rockz! assay ☺

mercoledì 27 gennaio 2016

Suggerimenti - 140


10 mesi di lavoro e 0 laurea. Carrai lì non andrai…


Paddle boarding with a few welcome guests

Da quando esiste Twitter ho scoperto che

Niente di nuovo

Non Sequitur by Wiley Miller

Porn sites should all start with the same letter


New York oggi

Amazing timelapse showing how quickly the snow piled up on USA’s east coast

Marò. l’Italia punta sulla psicologia inversa: “L’India se li tenga, tanto a noi non interessano”

per @Corriereit c'è il rischio

The 50-50-90 rule

La fusione dei ghiacci minaccia miliardi di persone


Galileo Aveva Quasi Scoperto la Relatività Generale

Anche gli #ingegneri hanno dei sentimenti

“I rapimenti non pagano”. Gli alieni si danno allo spaccio e alle estorsioni

Elezioni Amministrative 2016, Gegia in lista per “Noi con Salvini” a Gallipoli
si meritano tutta la Xylella f. davvero

The revolution of headphones

Startup romana lancia progetto innovativo


Ma era un italiano

Robot che fanno gli infermieri, i badanti, gli inservienti

Well I don't believe in you either

The Good Thing

Ciao ciao Philae


There's a better model for innovation than Silicon Valley

Prostitute contro il family day: “Ci porta via i clienti migliori per tutto il giorno”

How Immigrants Fit Into America's Economy, Now and 100 Years Ago
meriterebbe tutta una serie di post; anche per noi (europei)

Rohani a Roma, coperte statue di nudi ai Musei Capitolini

Costa di più una missione spaziale o una guerra?

Ora #Gasparri mi va in confusione

Non giova alla mia autostima, #sapevatelo #Termini


Il nuovo scandalone del calcio promette

#giornatadellamemoria

Percentuale di studi scientifici che concludono "sono necessari ulteriori studi" 1960-2015

This is How 37 Banks Became 4 Banks in Just 2 Decades

Facile fare i cattolici

Education nowadays

Orgoglio marò #voav #svegliaindia


martedì 26 gennaio 2016

Marvin Minsky - un suo scritto


Ne hanno parlato in tanti che ormai è tardi per dare la notizia. Ma tra le tante cose che sono circolate ce n'è una che trovo semplicemente meravigliosa: un suo articolo del 1985, Communication with Alien Intelligence.

Io l'ho letto durante i trasferimenti in bus e metro, in diverse riprese, alcune lunghe (da Piobesi a Moncalieri) altre più brevi (da Moncalieri ai confini di Torino, in giro per Torino) ma anche quando non leggevo continuavo a pensarci su --quando non ero indaffarato con altre cose, come parlare di 'puter, ovvio.
Perché se è vero che si parla di extraterrestri vale anche per altri meno extra (forse non sono da escludere neanche i padagni, anche se il dubbio rimane, forse ci puoi mettere dentro anche @GasparriPDL e Paolo Brosio, dubbi anche qui però) e infine parla di noi. Di come vediamo le cose, il più semplice possibile. Ci ho trovato un aneddoto di Marvin bambino che è molto simile a uno mio personale (il suo riguarda i segni più e meno dell'aritmetica, il mio i triangoli retti, roba tipo Pitagora) ma c'è dentro tanta roba.
Consiglio: leggetelo, lo rileggo anch'io, questa volta tranquillo, tutto di fila.

Lo trovate qui.

Buona lettura ☺

Ispiratori


Due grandi; anzi grandissimissimi, übers. Senza di loro la mia vita sarebbe stata diversa.
Di chi sto parlando? Ecco, qui.

Adesso .mau. se legge questo post e vuole dovrebbe segnalarglielo. Se pensa che sì, nèh! Se no, no.

lunedì 25 gennaio 2016

Autoreferenza accidentale


Non so se conoscete Kazimir Majorinc, un matematico che abita qua vicino a noi, ha tante doti positive anche se si presenta come:
malfunction officer at Satanic Malfunction Intl. Corp.
math, programming, far left, animal rights
Lives in Zagreb, Croatia
Io lo conosco da sempre, una volta era attivissimo con newLISP, adesso fa altre cose (aspetto la traduzione del suo libro, p.es.) ma intanto ecco un video di quelli che il fatto di essere bello (è bellissimo, bravo!) diventa secondario, ti fanno pensare, e pensare non basta, bisogna agire. Insomma ecco:

Accidental Self Reference

domenica 24 gennaio 2016

Suggerimenti - 139


Xylella fastidiosa: intervista al professor Alexander Purcell

Theoretical evidence for an undiscovered super-Earth at the edge of our solar system

Scientist who killed Pluto now concludes there is a ninth major planet

Planet Nine: tracce d’un nono pianeta

Il Paradosso della Ruota di Aristotele

Non solo il treno deragliato ad Andora abusi ogni 20 metri


Vade retro Silicon Valley

Trivelle alle Tremiti: il referendum si farà

Cilento, Comune vuole statua di Padre Pio alta 85 metri. Costo? 150 milioni. “Ma qui mancano acqua e strade”

Caro Don Matteo, la Chiesa non è come lei. La videolettera de Gli Antennati

#Lerciostory National Geographic scopre un altro Comune italiano che inizia per D oltre #Domodossola

Pace: “Renzi vuole un principato. Ecco le ragioni del NO”


#Berlusconi: "Sono arrivato ad una conclusione: gli italiani non mi meritano"

Lo studio di cui tutti parlano, sul nono pianeta (non lo sappiamo se c'è, ma gli argomenti a favore sono forti)

All'improvviso il poeta

Questa mi mancava

Sunbeam

Quando una trascrizione dice più di mille parole


Le misteriose vite dei gatti in bianco e nero!

Caccia a Pianeta Nove

Italy - Statistics, Rankings, News | US News Best Countries
mah... dopo Silvio, Matteo e poi chissà...

[ITA] Riassumendo

Possible Undiscovered Planets

OK, you 200K people who have downloaded the Planet Nine paper


Tour giudiziario fino al 2018: a rischio il duo de #inostrimaro? #roar

The quietest people have the loudest minds

insegnatelo prima a molte persone...

CIA: 10 Tips When Investigating a Flying Saucer

Luci a San Siro? No, autogol

Autodifesa Email - una guida per combattere la sorveglianza di massa con la criptazione di GnuPG


Incredibile, suggerito dall'amico Gilles

Messa la sveglia?

Tian Tian woke up this morning to a lot of snow, and he was pretty excited about it

Ferramenta Parioli, Roma

Every airline flight in the world over a 24-hour period


Ci sono degli sconti sui treni per chi va al Family Day, il 30 gennaio

Never Give Up

Alimentazione sostenibile

#Amazon River weaving through #Peru

I paladini della famiglia tradizionale

sabato 23 gennaio 2016

Ossessione tempistica


Non so voi ma per me sta diventando una cosa sempre più grave. E non ditemi che è una cosa senza senso, lo so, lo so benissimo ma niente, non riesco a uscirne. Adesso vi spiego, anzi vi racconto un fatto recentissimo, vecchio di poche ore.

Intanto una premessa: adesso che sono vecchio e rottamato posso dedicarmi --entro certi limiti ma in modo ampiamente soddisfacente-- a cose che avrei voluto fare quando ero giovane e pimpante --OK, relativamente parlando.
Per esempio sull'altro blog, quello noioso, OKp, racconto cosa sto vedendo per puro divertimento.

Una cosa che probabilmente tutti sanno ma tanti non praticano assiduamente è che ogni volta che si capita in una asserzione verificabile dovrebbe essere verificata.
Per esempio:
9657787 è un numero primo.
Uh! sarà vero? verifico:


, OK ☺
anche 2701 è primo.

Prima ha detto una roba vera, forse anche questa... No, nope! verifico:


Visto? Sempre (kwasy quasi) verificare.

Naturalmente la realtà è più complessa; quando si scoprono cose nuove e si raccontano (se non lo faccio le dimentico) sul blog nello stesso modo in cui una volta quando ero giovane e pimpante (OK, relativamente parlando) prendevo appunti.
Alle volte capita che scrivo una solenne e tremenda katsa cosa inesatta, a volte completamente errata. Capita.

Che fare quando te ne accorgi? L'idea di correggere il post cancellando la kats l'errore è pessima; chi l'ha letto e magari ricorda potrebbe tornare e non ritrovarsi ☹
Molto meglio mettere una nota, un aggiornamento, spiegando cos'è successo. Cosa che di solito tento di fare.

Poi capita come ieri --non sembra, la sto prendendo alla lunga ma ci arrivo, promesso-- che preparo un post su cose nuovissime per me e mi accorgo che sabato 16 gennaio ho scritto una kats cosa non vra e lunedì 18 l'ho postata. Da correggere mi dico. E preparo anche la nota. Tutto bene sembrerebbe; posso andare a dormire tranquillo (nei limiti del possibile).

Ovvio che mi sveglio nella notte dicendomi "Atz! dimenticato di corr..." e stavo già pensando di alzarmi, scendere, accendere il 'puter etc... Poi però mi sono svegliato del tutto: non l'ho corretto perche il post che avevo scritto lo avrei pubblicato oggi. E così anche la correzione sul vecchio. OK, posso tornare a dormire tranquillo (nei limiti del possibile).

Fine dell'esempio che se non si è capito è che se non finisco quello che sto facendo, e ovviamente per le cose lunghe non è possibile, poi vengo preso dall'angoscia.
Non ha senso ma mi capita sempre più frequentemente. Se ho un appuntamento a un'ora precisa vedo di arrivarci un po' prima e poi continuo a guardare l'ora. Se invece devo finire qualcosa e sono in ritardo capitano cose che non vi dico.

OK, adesso che vi ho raccontato questo posso dirvelo: per un po' di tempo vedrò di non preoccuparmi di questa fobia (si potrà dire "fobia" in questo blog?) perché ho un'idea.


Grazie anche a Douglas Adams (ma non solo) ho deciso che mi occuperò della realizzazione della macchina del tempo. Nel frattempo non ci sono per nessuno; e la cosa è topsecretissimissima.

Sempre che il tempo esista, Carlo Rovelli dice di no, e se fosse vero (che non è) io sprecherei il mio.

venerdì 22 gennaio 2016

Forzaquattro & Nicola

Un post doppio, due cose completamente e interamente differenti, senza punti in comune, la seconda poi è praticamente finta, non conta, non leggetela se non volete.


La prima, quella bella: il post di una classe quarta (non dico il nome del ciclo che io sono rimasto fermo allo scorso millennio, ero in ritardo già allora). C'è un prof (immagino) con un nome comune per la zona, questo, in questa scuola su tra i bricchi (meno male che non sono invidioso) in unpaese che promette bene fin dal nome e i ragazzi si sono fatti il blog: Forzaquattro.

Per adesso è nuovo di pakka nuovissimo ma promette bene. Bravi. Da seguire. 


OK, fine del post sensato, però 'na robancora.
Oggi circola una bufala su Nicola Arigliano, è finta ma mi ha fatto tornare ggiovane, il Digestivo Antonetto e questa cosa qui:


Nostàlgia mode off. Subito.

giovedì 21 gennaio 2016

VULCANO, GIOVE E SATURNO

DAL VOLCANAL AL COMITIUM, PASSANDO PER ALBA LONGA

È difficile dire se il tempo (e il Vittoriano) abbia accentuato o attenuato la forma arcuata da pesce appena pescato che il Campidoglio deve avere sempre avuto fin dalle sue origini telluriche, inarcato attorno alla piega squartata dell’Asylum con l’Arx a fungere da testa e il Capitolium da corpo e stretta coda, come del resto è pienamente comprensibile solo da quando esistono le foto aeree, e zenitali.
Certo è che a guardarlo dal basso, sia dalla piana cannosa del futuro Campo Marzio che dalla scodella umida della futura Suburra, il profilo del picco dell’Arx di qualche decina di palmi più alto delle gibbosità del Capitolium, non doveva suggerire propriamente un’acropoli con un’agorà.
Anche visto più da vicino dalla parte del futuro Foro, il crinale crestato di querce, allori, rari cipressi e costellato di cespugli di ginestre doveva avere qualcosa più d’incombente che di maestoso, con la guglia dell’Arx immanente, come arcignamente opposta alle balze del Quirinale, un quarto di miglio più in là, oltre la sella che sarebbe stata sfondata per far passare il Foro di Traiano verso il Campo Marzio.
Il Campidoglio, come tutti i colli del Septimontium, è composto di tufo litoide, una roccia vulcanica esplosiva tutto sommato morbidamente lavorabile, solida ma anche friabile, frutto delle eruzioni interglaciali dello stesso complesso laziale destinato a divenir sacro come "monte dell'alba" per i primi Aborigeni che da cento e più passa generazioni arrivavano, nascevano, vivevano e morivano lì attorno.
Per un qualche ormai imperscrutabile motivo, forse per la presenza di sorgenti che facilitavano il lavoro, alla base dell’Arx si era preso a scavare le prime cave comuni, e lì vicino – forse dove scaturiva una fonte fetida ma balsamica per molti malanni dovuti all’età e a una vita pesantemente vissuta – si andavano a riunire gli Anziani del Septimontium, in questa latomia scavata a blocchi nel tufo riscaldata da una sorgente puzzolente d’inferi che chiamarono Volcanal.
Non sapremo mai se l’originario Volcanal fosse a cielo aperto oppure una grotta, ma se l’amore per il cunicolare tipico dei Romani farebbe romanticamente pensare alla seconda, la necessità di accogliere da parecchi a molti uomini e la presenza di una fonte probabilmente sulfurea porta a propendere piuttosto per una arena all’aperto, uno scavo rettangolare a gradoni più o meno regolari. Schema che rimase a Roma per tutti i secoli del Regno, della Repubblica e dell’Impero: lo schema semicircolare divenne col Comitium tipico per le assemblee, il rettangolo per il Governo del Senato. Poi arrivò il Concistorio Imperiale, ma solo nel tardo Impero.
Così del resto era ai tempi di Romolo, quando nella depressione a imbuto pochi metri distante e pochi metri profonda lasciata da un contorcimento dello Spinon cominciarono a radunarsi i Comizia…

Chi diede l'Incarico

Ma prima di Romolo e dei suoi tempi, in quella ansa abbandonata del fiumicello che drenava a fatica i reflui dei villaggi sui colli, nessuno pensava a tenere comizi o assemblee, di nessun genere se non commerciali, rituali e sacrali, ma quindi attorno alle are delle Divinità garanti negli appositi fori boari o piscari del Velabro, o i macelli degli agnelli oltre la Velia e il Celio, sulle sponde di quel laghetto che sarebbe diventato il cuore della Domus Aurea e poi le fondamenta del Colosseo.
Nelle generazioni che avevano pian piano e poi sempre più densamente popolato il Septimontium, nessuno aveva mai sentito bisogno di assemblee. Le decisioni venivano da sempre prese fra i capofamiglia, poi comunicate ai più stretti membri della propria gente, poi a tutta la popolazione di quelle tribù divenute popoli, piccoli o grandi che fossero.
C’era da sempre una forma di implicita lealtà verticale, fra i membri di ogni piccola comunità di villaggio e le popolazioni che le avevano pian piano espresse, radunando ed espellendo i soprannumerari per spingerli in una direzione ben definita, ossia sempre più in basso verso quel guado. Ma da un po’ di tempo a questa parte, qualche generazione dai nonni ai padri, c’è anche una sorta di complicità funzionale, fra quelle comunità territorialmente disomogenee che ormai vi incombono sopra.
Perché se non tutti i partecipanti hanno la stessa origine culturale, più che etnica, ormai ne stanno formando una nuova più a suon di chiacchiere che di botte vere e proprie.

I popoli del Septimontium

I Sabini rappresentano la macchia più compatta sulla mappa del Septimontium degli anni precedenti a Romolo: occupano quasi integralmente il Quirinale e lo considerano una propaggine coloniale che discende direttamente da Cures, il centro capitale distante poche decine di miglia, una rocca senza mura all’uso spartano – popolo da cui si vantano di discendere – con spettacolare vista sul Tevere lontano pochi chilometri.
Sono la macchia più compatta perché i Latini, per quanto in numero di genti e di villaggi preponderanti, sono mischiati sul Viminale come sul Celio, sul Cispio e sull’Oppio, a macchia di leopardo con i radi ma compatti villaggi Equi, Volsci ed Osci. E i Latini litigano con tutti, soprattutto fra di loro.
Da qualche parte ci sono i Greci, del resto dov’è che in questo periodo non ci sono Greci, ovunque ci sia da commerciare e da far politica? La tradizione li vuole sul Palatino fin dai tempi di Enea che vi va a far visita ad Evandro, ma ammesso al tempo di Romolo esistessero ancora alcuni discendenti dei Lemuri, la posizione più probabile per una piccola stazione commerciale greca è subito a valle dell’Aventino.
Oltre l’ultima ansa prima dell’isola c’è lo scalo del Velabro, c’è il guado, c’è il bisogno di servizi essenziali, e grezzi. Prima, c’è la possibilità di fermarsi e rassettarsi se si arriva dal mare dopo un lungo ed estenuante viaggio, oppure si è un commerciante di sale che ha fatto l’intera cessione del suo carico e vuole ben spendere, alla greca, e basta girar oltre la valle Murcia, oppure si viene dal nuovo emporio greco di Puteoli con le ultime notizie sui progetti di fondazione a Cuma, e su come le delizie greche abbiano nulla da invidiare a quelle tirreniche...
Si è capito insomma: se come pare c’era una comunità greca a Roma prima che Roma fosse tale, di sicuro stava nel posto più elegante e fuori mano, per quanto facilmente accessibile. E le pendici meridionali dell’Aventino appena sopra la linea di massima esondazione del Tevere, al tempo, erano quel posto giusto lì.
Poi c’erano gli Etruschi, ed erano dappertutto.

Sotto gli occhi dei Rasna

Gli Etruschi erano dappertutto perché da circa un secolo erano i vicini in affari col bon ton. E quindi quando un nuovo arricchito dagli affari sempre crescenti attorno al guado aveva bisogno di qualcuno che gli addestrasse i servi al farlo ben vivere, lo cercava spontaneamente nella Tuscia. E i Rasna con cui era in affari gliene mandavano volentieri, ma ben istruiti altro che sul lucidar correttamente clynax o buccheri di qualsiasi tipo.
Non c’era un quartiere propriamente etrusco, anche se probabilmente presero presto a calare per un boccale assieme nel tempo libero attorno al Vicus Tuscus, quando le rade capanne rurali che facevano anche da ruderali taverne dove la Suburra venne poi sotterrata dai Fori Imperiali a loro volta sotterrati e poi dissotterrati, presero a trasformarsi in vere case, di tufo prima ma in laterizio ben presto.
Ma al tempo di Romolo son quasi tutte ancora capanne, e lo rimarranno in gran parte fino ai Tarquini, dieci generazioni dopo, quando il Superbo eseguì il primo tentativo di bonifica della Suburra e del Foro, non solo in senso idraulico.

Al tempo di Romolo, nel Volcanal si riunivano gli esponenti più anziani, più influenti, di un Mondo che stava cambiando troppo rapidamente rispetto a quel che i loro nonni gli avevano insegnato dover essere, e cercavano rassicurazione nelle tradizioni, per le più diverse che potessero essere.
Invece nell'ansa abbandonata dello Spinon, seduti su l’erba inclinata di quello che poi, tamponato dalla parte del torrente deviato a diventar la Cloaca Massima, sarebbe diventato il Boleuterion della Roma Repubblicana, probabilmente i loro figli, veri conduttori dei campi e dei commerci, nei giorni di festa discutevano fra loro come organizzare quella città ancora non-città, guardando i colli che erano la loro comune casa, che coprivano i monti natii dei loro avi, ma sotto il contorno sfumato del Monte sacro a Giove, il monte cavo, il Monte Albano, aspettando di aver l’età giusta per poter dir la loro nel Volcanal.

E sotto gli occhi degli Dei

Tutti rispettano la Divinità Massima rappresentata nel Monte Albano, ora maschile, un tempo femminile. Anche Osci, Equi e Volsci che pure hanno loro diversi santuari di riferimento, anche i Sabini che come per tutto il resto preferiscono far con le Divinità proprie, anche gli Etruschi, che rispettano ogni religiosità a prescindere. Anche i lontani Sanniti, memori di quando là vi era la Grande Madre comune. Anche i greci, sorridendo e carezzandosi il mento rasato accondiscendenti, che già loro sanno tutto attorno agli Dei, ben prima di Aristotile.
Però quella dei sacerdoti di un Giove fin troppo prepotente su Saturno, era una scuola di logorroica arrogante autodifesa, ormai arroccata a perpetuare rituali definitivamente scollegati con la realtà delle stagioni, se non per forza dei tempi.
La lunga alba di Albalonga era vicina alla fine, forse indipendentemente alla fondazione di Roma con rito etrusco. Tenendo comunque sempre il santuario di Giove Laziare come punto di riferimento latino per determinare CHI dovrà scegliere dove fondare la nuova Città comune, fra gli unici due luoghi rimasti plausibili: il Palatino o l’Aventino.

E a questo punto, anche noi dobbiamo deciderci a determinare chi diamine sia stato Romolo, e perché proprio LUI. O almeno a cominciare a farlo.

Roma da Romolo o Romolo da Roma? E Remo? E Remoria?

Ricapitoliamo ed analizziamo ceteris paribus la situazione come si presenta agli Anziani del Septimontium riuniti nel Volcanal negli anni subito precedenti l’Anno Zero – per quanto "zero" fosse un concetto allora non esprimibile se non forse esotericamente – dell’Urbe ad conderem, forse cento, forse trecento, forse una decina di delegati dalle diverse comunità di villaggi, non potremo saperlo forse mai.
Quello su cui stanno discutendo ormai dal tempo dei loro nonni se non da prima dei bisnonni, è come consolidare l’addensarsi dei loro villaggi verso il guado, e lo snodo delle due piste.
Il secondo è il punto più controverso, perché rispetto al tempo dei nonni, bisnonni e avoli, ora la via Campana promette di diventare sempre più lucrosa rispetto alla tradizionale via Salaria, con quei Greci che ronzano sempre più numerosi attorno alle coste del sud.
Per cui, se al tempo dei nonni e bisnonni si era bisticciato a lungo attorno al Campidoglio – per poi arrivare a quello che fu probabilmente il primo patto politico sottoscritto in quella che divenne poi la Patria della Politica, col Campidoglio assegnato in zone al culto distinguente ogni comunità dei colli circostanti, il cocuzzolo dell’Arx controversamente riconosciuto all’aruspicina etrusca dal Quirino sabino, che indispettito si insediò piuttosto sul prospiciente corno più alto del Quirinale, ad augurare a modo suo il miglior bene a tutti e il miglior male a chi paresse a Lui – da qualche anno si discuteva decisamente se il Palatino fosse veramente lo sbocco naturale di tutto quanto il Septimontium potesse sfruttare il guado, o se non fosse piuttosto il caso di prendere in considerazione un Aventino sovrastante un nuovo ponte che separasse i commerci della via Campana con quelli della via Salaria.
Quella dell’Aventino era una soluzione molto favorita dai Sabini, perché avrebbe messo la nuova cittadella, per forza di cose a maggioranza latina, lontana da quegli snodi del sale su cui poi, dominando i percorsi lungo la ripa sinistra del Tevere fin dove navigabile, contava di rafforzare il controllo e i servizi, a pagamento s’intende.
I Latini invece volevano il controllo del guado, e quindi del Palatino, e le robuste minoranze osche, volsche ed eque propendevano ora da una ora dall’altra parte. Gli Etruschi aspettavano che si mettessero tutti d’accordo, per poi dir la loro, come avevano imparato a fare da tempi immemorabili, prima ancora perfino di essere Rasna, dato che erano gli unici in grado di progettare un ponte sul Tevere.
In qualche maniera, ci si mise d’accordo che la scelta finale sarebbe stata indicata da una procedura augurale comune a tutti, indirizzata verso il Monte Albano e l’invisibile ma certo caro a tutti sacrario a Giove Laziare a segnare la preminenza – primi inter pares, teoricamente – dei Latini sulla appartenenza della nuova Città.
Per far ciò, bisognava aver due Augùri rappresentanti ognuna delle due fazioni, e che il Prescelto dal Fato fosse poi in grado di presiedere alla fondazione della Città, ed eventualmente inizialmente regnarvi, magari solo simbolicamente.
E fu solo a questo punto che si pose il problema di CHI? Ci si risolse di rivolgersi alla Fama, più che ad Alba Longa.



I Gemelli e i Derelitti

C’erano questi due ragazzi, due trovatelli a capo di una banda di giovinastri di altrettanto oscura origine, che avevano appena messo a soqquadro Alba Longa, e in ginocchio dalla paura il clero sacerdotale della città sacra ai laziali da quando Giove aveva scacciato il padre Saturno nelle paludi pontine.
Era l’effetto che comportava non avere l’istituto del Ver Sacrum come i Sabini, o qualcosa di analogo che potesse organizzare gli orfani o i figli per un qualche motivo soprannumerari alle famiglie di nascita, che non riuscissero ad essere adottati dal clan o comunque nel villaggio di origine.
Come due gemelli, per esempio, come nati storpi o solo anemici, o semplicemente perché al termine di uno svezzamento molto breve, non ci sarebbe stato più cibo per loro comunque. E quindi, molti venivano abbandonati nei pressi di quelle grotte dove avevano dimora le Lupe, le prostitute pubbliche, emarginate ma sacre per i transumanti quanto le Vestali di Alba Longa per gli stanziali.
Molti di questi incolpevoli disgraziati non avevano altra scelta che darsi al banditaggio non appena sviluppavano la capacità di maneggiare un coltello, una daga o un randello, tormentando in piccole bande gli incauti commercianti solitari con i loro carri trainati da asinelli colmi di stoviglie greche o sannite sulla via Campana, piuttosto che i convogli di muli carichi di sale ben guarniti di guardie etrusche o sabine sulla via Salaria e diverticoli.
Una di queste bande si era particolarmente ingrossata: un’ottantina di ragazzi fra i dodici e i vent’anni, capeggiati per riconosciuto, naturale e meritato carisma, da due gemelli allevati dalla Lupa Acca Larentia e dal suo protettore Faustolo, pastore di capre sul Palatino, in una grotta alla sua base, dopo essere stati abbandonati in una cesta galleggiante in un punto apposito per farla approdare fra le radici del Fico Ruminalis.
Quei due si erano messi in testa – o qualcuno glielo aveva impresso con i fantasiosi racconti dell’infanzia – di essere figli di una Sacerdotessa di Alba Longa, vergine Vestale e quindi per forza di cose ingravidata da un Dio, Marte probabilmente. In realtà, proprio in quegli anni era in corso una disputa di legittimità fra i due fratelli pretendenti al titolo reale dei Sacerdoti dell’Alba, con Amulio che aveva spodestato Numitore, e in effetti costretto al sacerdozio virginale la nipote Rea Silvia.
Fossero o non fossero figli illegittimi di Marte in qualsiasi delle sue incarnazioni e la principessa-sacerdotessa Rea Silvia, avendo così fra l’altro sangue ascanide di Enea nelle vene, la banda dei due Gemelli prese a saccheggiare frutteti e pascoli della casa sacerdotale-reale di Alba Longa, giungendo ad occupare per intere notti diverse fattorie, bivaccandovi fino ad esaurimento di ogni scorta di cibo e vino.
In una di queste incursioni, uno dei due Gemelli, il Gemello minore, era però stato catturato dalle milizie di Alba e imprigionato nella cittadella allungata sulla cresta del cratere del lago Albano.
La reazione dell’altro e della sua truppa era stata straordinaria: i racconti fra i bovari attorno all’Ara di Ercole nel foro boario del Velabro si erano succeduti sempre più particolareggiati e ammirati, man mano che i porcari dei boschi e delle selve vulcaniche li trasmettevano scendendo al guado con i loro tranci salati.
Erano penetrati direttamente nell’acropoli svellendo letteralmente le porte delle mura e ogni altro ostacolo che incontrassero sulla loro strada, spaccando tutto finché non gli era stato riconsegnato il prigioniero sano e salvo.
A seguito di ciò, Amulio aveva volentieri abdicato, fuggito malmenato e non precocemente morto, e Numitore era tornato a subentrargli per gestire il problema. Che era uno e trino: quelli dovevano andarsene lasciando il minimo dei danni, come, perché e in che modo.
I due Gemelli non volevano certo essere riconosciuti futuri Re di Alba Longa, e del resto ormai, fino a scadenza stabilita, non si poteva certo tirar fuori dal sacerdozio la loro presunta madre, la quale stava del resto benissimo dove stava da una ventina d’anni.
Per cui Numitore li munì di una sorta di Mandato: li unse dei crismi necessari per essere riconosciuti in potere di fondare città dalle Divinità silvestri del panteismo che si riassumeva nel culto di Giove Laziare, se non quando ancora in quello di Saturno, preesistente e contrapposto, e che faceva parte di quel meltin-pot comune di Divinità mediterranee in cui tutti potevano trovare unità, se non conforto.
Poi, dopo aver divinato come doveva saper divinar lui le stelle, attribuì ad entrambi un nome che potesse essere riconoscibile ovunque, là dove le divinazioni gli avevano detto dovessero andare.
Chiamò Remo il primo, e Romolo il secondo, dotando così di radici sia italiche che etrusche ognuno del nome da cui discendere i Nomi palesi e segreti delle loro future Città.

E appena poté, non riuscendo a separarli, li spedì dove ce n’era bisogno, e richiesta, sperando fossero abbastanza sensati da separarsi appena trovato un verdetto degli Dei.
Ma, visto il carattere diversamente deleterio dei due che durante l’intenso periodo di preparazione ai riti di consacrazione aveva imparato a conoscere, non si stupì poi più di tanto di quel che fu informato successe, dai bovari che dal guado portavano ad Alba Longa i tori bianchi per i sacrifici rituali delle Feriae Jovis le idi di quel Maggio dopo le Parilia dell’anno 1 ab Urbe condita di quello stesso Aprile, anno Zero di ogni cosa forse, per un Sacerdote del Tutto come probabilmente si considerava.
Itur ad Argeos dovette inevitabilmente pensare.
Numitore dico...

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