sabato 28 settembre 2013

Nomi

Non so se interessa... A me sì e allora lo scrivo; poi vedremo.
L'altro giorno Bruna ha raccontato dei nomi spagnoli, bello.


Da allora sto pensando ai nostri, ecco, devo raccontarvi tutto, o almeno la prima parte, discorso lungo. Con rivoluzioni dentro, come vedrete.

Non ci sono più i nomi d'una volta, sigh! Non è nostalgia, c'è stata una profonda mutazione culturale, anzi più di una. diciamo dagli anni '50 del secolo scorso in poi.
Intanto il nome del bambino o della bambina erano obbligati: per primi venivano i nomi dei nonni e finiti quelli i padrini e le madrine. Questi ultimi si sceglievano con oculatezza tra quelli che non avevano figli ma roba, vassapereperché!
E per via dei padrini capitava che qualcuno si trovava con un nome per lo stato e un nome per tutto il resto, come il papà di una mia amica che si chiamava Giovanni ma sui documenti c'era scritto Lorenzo. Per i giovani che magari si stupiscono io che sono buono do subito la soluzione: il bambino doveva essere consegnato in comune e lì gli davi il nome. Nel frattempo preparavi per la festa del battesimo e se succedeva qualche contrattempo e dovevi cambiare padrino/madrina al prete gli davi il nome giusto, cioè quello del padrino/madrina. E quello restava.

Io e i miei fratelli abbiamo ancora i nomi vecchi, ma italianizzati. Già perché nella stessa epoca si è passati dal dire il nome in dialetto all'italiano, o quasi.
Discorso difficile e arzigogolato? No, dai, alcuni esempi chiariranno tutto.
Io mi chiamo Giovanni, che sarebbe Giovanni Battista. E quindi l'ho scampata da Batista (no, c'era ancora il nonno), Tista o, più probabilmente Tistin. I diminutivi erano comunissimi, per la ragione detta sopra e te lo portavi dietro per tutta la vita. Nino, come sono conosciuto, non viene da Giovannino ma da niño, il nonno era vissuto per parecchi anni in Argentina. La mamma pensava che Nino sarebbe stato molto meglio di Tistin, che secondo me non sarebbe stato male, bello quasi come Giu-an (Juhan, per me).
Giovanni, Giu-an, Giuanin era meno usato, probabilmente solo per quando Batista era già occupato. Il giuanin (o gianin) è il bruco della ciliegia, nasce a San Giovanni, festa di mezz'estate (all'inizio della stessa, se interessa ne parlo).
Francesco, nome molto comune in dialetto è/era Ceco, Cichin.
Giuseppe si diceva Giüsèp, Giüspin, Geppe e, recentemente, Beppe. In alternativa si poteva passare a Pinoto e Pinutin.
Do per scontato che la N è spesso nasale ma non sempre. E non so la regola e come rappresentarla.
Luigi faceva Lüiss, Vigio, Vigin. Qui capitava una cosa particolare: il Lüiss ritradotto in italiano diventava a volte Luvigi o, spesso, Luviggi perché c'è un problema di pronuncia anche della Ü che in qualche caso è più una ÜV (come il lüüv, lupo o, appunto Lüiss).
Mario è il maschile di Maria (davvero!) e non ha, per quel che ne so, diminutivi. E si dice come in italiano, come pure Carlo, dove però c'è Carlin.
Michele diventa Michel e Miclin, Pietro fa Pé, Per, Piero, Pierin.
Antonio era Tone, Tunin. Se c'è uno qualunque da tirare in ballo vai per Tone, modo di dire, nella traduzione si perde il senso, però pensate al tone, la tuta.
Bernardo era comune, come B'rnard, B'rnardin, Dino. Ma veniva usato anche per incapace, buono a nulla. Peggio ancora capitava a Vincenzo, Vincens che era offensivo (avete presente quello che dice "non ci ho mica scritto Enrico Letta!") per cui Censo, Censino.
Paolo ha tutta una storia: anticamente era Pau ma poi è diventato Paulo, Paulin.
Il re Vittorio ci ha regalato Vitorio, Vittorino (non so se è piemontese, come nome, come persona ne ho uno non troppo distante).
Matteo era Maté, Matelin, poi diventato Mateo (orrendo! (secondo me)).
Mio padre si chiamava Drè-in, Andrea, il suo padrino Drèia.


C'è ancora qualcuno che legge? Dubito, fortemente.
E pensare che: 1) non ho parlato dei nomi femminili, dove c'è la questione della A finale; 2) della fine del portare il nome (arnuminé). Cioè, se volete c'è roba per un'altra tirata.

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