lunedì 12 ottobre 2015

L'assurdo in matematica: reductio ad absurdum

La matematica è quella disciplina comunemente considerata "verità assoluta", come quando diciamo che 2+2 = 4 o che log 100 = 2 (anche se basta compiere una semplice addizione come 12+1 su un semplice orologio per ottenere un risultato differente dal consueto, vedere qui per i dettagli).
Le dimostrazioni matematiche di teoremi, corollari e proposizioni possono ritenersi verità indelebili: se dimostro un certo teorema, vuol dire che quel teorema (per quell'ambito matematico considerato) è valido per sempre, non solo per oggi, domani o 100 anni.


D'altronde gli studenti ancor oggi si trovano di fronte enunciati e dimostrazioni di teoremi risalenti a millenni e secoli fa.
Come abbiamo già visto qui sul Tamburo, sussistono anche moltissimi problemi matematici irrisolti, per alcuni dei quali sono stati fissati ricchi premi in termini di denaro per chi riuscisse nell'impresa di giungere a una dimostrazione rigorosa e senza falle.
In matematica spesso accade però che per giungere a una conclusione positiva si debba passare per una menzogna, un assurdo!
Menzogne in matematica???
Sì proprio così, esiste giustappunto un metodo di dimostrazione noto come reductio ad absurdum, detto anche metodo indiretto.
In che cosa consiste?
Molto semplice: nella dimostrazione per assurdo si assume (anche se probabilmente non lo sarà) che un enunciato sia vero e si valutano le conseguenze che ne derivano.
Se, nel trarre tali conclusioni, si arriva a una contraddizione, allora l'enunciato iniziale è falso, giacché le contraddizioni sono sempre false.
Osserviamo brevemente le origini storiche del suddetto metodo.
Nel IV secolo a.C. prese il sopravvento nell'attività matematica la cosiddetta scuola platonica, guidata ovviamente dal grande filosofo greco Platone e dai suoi discepoli, tra cui Menecmo, Dinostrato e Teeteto.
Nel 387 a.C Platone aveva fondato ad Atene la sua Accademia, dal nome dell'eroe di guerra Accademo, il quale aveva donato agli ateniesi un terreno, che divenne un giardino aperto al pubblico ove il sommo Platone poteva discutere di filosofia e matematica con i propri discepoli.
Platone non può essere considerato un vero matematico, tuttavia nutriva una forte passione per questa disciplina ed era convinto della fondamentale importanza della matematica per la filosofia e la comprensione dell'universo.
Quasi tutto il lavoro matematico del IV secolo a.C si deve appunto agli amici e discepoli di Platone.
I platonici si occuparano della dimostrazione e della metodologia del ragionamento matematico.
Proclo e Diogene Laerzio (III secolo d.C.) attribuiscono ai platonici 2 tipologie di metodologia:

1) il metodo dell'analisi, dove ciò che deve essere stabilito viene assunto come noto e se ne traggono le relative conseguenze sino a quando non sopraggiunge una verità nota o una contraddizione. Se si raggiunge una contraddizione allora la conclusione desiderata è necessariamente falsa. Se si raggiunge una verità nota allora i passi effettuati vengono capovolti (se possibile), ottenendo in tal modo la dimostrazione;
2) il metodo della reductio ad absurdum.

La dimostrazione per assurdo viene attribuita pure a Ippocrate di Chio (V secolo a.C), che non bisogna confondere col suo contemporaneo Ippocrate di Cos (quello del famoso giuramento pronunciato dai medici).
Forse il primissimo esempio di Reductio lo troviamo però in ambito letterario in frammenti di un poema satirico attribuito a Senofane di Colofone (570 a.C. – 475 a.C.), nel quale viene criticata l'attribuzione delle colpe degli uomini agli dei da parte di Omero.
Senofane sostiene che, secondo quanto raccontato da Omero, gli umani credono che gli dei abbiamo le sembianze degli esseri umani, tuttavia argomenta che se i cavalli e i buoi fossero in grado di disegnare, essi rappresenterebbero gli dei con i corpi di cavalli e buoi.
Ma gli dei non possono assumere entrambe le sembianze e dunque sussiste una contraddizione.
Senofane arriva alla conclusione che siccome si è verificata una contraddizione, allora anche l'attribuzione di altre caratteristiche umane agli dei (ovvero l'ipotesi iniziale) risulta falsa.
Scopriamo ora un classico e semplice esempio di utilizzo della reductio ad absurdum: dimostriamo che √2 è un numero irrazionale.
Ricordiamo che un numero viene chiamato irrazionale quando non è esprimibile attraverso un rapporto di numeri interi.
Per dimostrare pertanto che la radice quadrata di 2 è un numero irrazionale, supponiamo, per assurdo, che r sia un numero razionale tale che r² = 2.
Essendo r ipotizzato come numero razionale, possiamo scriverlo come rapporto di due numeri interi n ed m:





con m diverso da 0.
Ipotizziamo inoltre che tale frazione n/m sia ridotta ai minimi termini, ossia non risulti semplificabile.
Con queste premesse, possiamo senza problemi scrivere la seguente catena di uguaglianze:










Quest'ultima ci fa subito capire che n² è pari, da cui segue che anche n risulta pari, cioè in termini più rigorosi




per qualche k numero intero.
Ergo, l'uguaglianza n² = 2m² implica un'altra catena di uguaglianze:










ATTENZIONE: constatiamo che m² è pari e dunque pure m è pari. Ma a questo punto abbiamo riscontrato che sia n che m risultano pari, il che è assurdo!
Infatti, all'inizio avevamo supposto che la frazione n/m non fosse semplificabile, quindi che n ed m non potessero essere entrambi numeri pari (d'altronde tutti i numeri pari sono semplificabili per 2).
Dato che abbiamo rinvenuto una contraddizione, la dimostrazione è conclusa, cioè abbiamo dimostrato che la radice quadrata di 2 non è un numero razionale!
Un altro celebre esempio di dimostrazione per assurdo è quella relativa al teorema di infinità dei numeri primi, quei numeri che risultano divisibili solo per se stessi e per 1.
Desidero affidare la spiegazione alle chiare parole di Serge Lang nel libro La bellezza della matematica:

"Abbiamo già elencato i numeri primi fino a 19, dopo il 19 troviamo 23, 29, 31, 37...Ci si può allora chiedere se i numeri primi siano infiniti o no.
SIGNORA: sono infiniti.
LANG: Benissimo. Come si dimostra?
SIGNORA: non lo so.
LANG (indicando un ragazzo): Tu sai come dimostrarlo?
RAGAZZO: I matematici ne hanno trovati milioni.
LANG: No, non intendo trovarne milioni. Quel che voglio dire è: come si dimostra che la sequenza di numeri primi non ha fine?
(Brusio tra il pubblico, vengono suggerite varie dimostrazioni).
LANG: Lei è un matematico? Sì? Bene, prego i matematici presenti tra il pubblico di non intervenire. Non mi rivolgo a loro. Non sarebbe leale. L'affermazione che i numeri primi sono infiniti significa che la sequenza di numeri primi non ha fine. La dimostrazione, molto semplice e antica, è attribuita a Euclide. Ecco quindi come lo dimostravano i greci. Cominciamo con un'osservazione. Un numero intero qualunque, ad esempio 38, può essere scomposto in 2 × 19, ove 2 e 19 sono numeri primi. Dunque 38 è il prodotto di questi due numeri primi. Se prendo 144, posso invece scrivere

144 = 12×12 = 3×4×3×4 = 3×2×2×3×2×2

Anche questo è un prodotto di numeri primi, alcuni dei quali si ripetono. In ogni caso, è sempre possibile esprimere un numero intero come prodotto di numeri primi e se ho un intero N maggiore di 2, allora, o N è già primo oppure N può essere espresso come prodotto di due numeri più piccoli. Ognuno di questi è a sua volta primo, oppue scomponibile in un prodotto di numeri ancora più piccoli. Continuando con questo procedimento, si finisce per avere numeri primi.
Per dimostrare che i numeri primi sono infiniti, proveremo che, dato un elenco di numeri primi

2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, ..., P

da 2 a P, ne esiste sempre un altro che non appartiene all'elenco. Procediamo in questo modo. Eseguo il prodotto di tutti i numeri primi dell'elenco; al risultato aggiungo 1.
Sia N questo nuovo numero:

 


Allora, o N è primo oppure non lo è. Se N è primo, è diverso da tutti i numeri elencati da 2 a P, e avremmo così costruito un nuovo numero primo. Se N non è primo, allora possiamo esprimere N come prodotto di numeri primi. In particolare, possiamo scrivere N = qN', ove q è un numero primo divisore di N. È possibile che q sia uguale a uno qualunque dei numeri compresi tra 2 e P?
ALCUNE PERSONE TRA IL PUBBLICO: È un numero nuovo.
LANG: Perché? Chiediamolo a qualcuno, quel ragazzo laggiù.
RAGAZZO: Con gli altri numeri, la divisione non viene esatta.
LANG: Giusto, se dividiamo N per q, non c'è resto; ma se dividiamo N per uno dei numeri primi tra 2 e P c'è un resto di 1. Dunque abbiamo scoperto un nuovo numero primo che non era nell'elenco. Ciò significa che non si può avere un elenco finito di tutti i numeri primi, e questo conclude la dimostrazione."

Nella dimostrazione riportata, l'assurdo si riscontra in una contraddizione con la costruzione svolta.
Concludiamo il post con un'assurda (in senso positivo) interpretazione dell'Overture 1812 di Tchaikovsky (un brano generalmente eseguito da un'intera orchestra) eseguita da Valentina Lisitsa al solo pianoforte!


Alla prossima!

Questo post partecipa al Carnevale della Matematica n.90.

3 commenti:

  1. Leonardo ho un problema: il logaritmo non è mica definito bene.
    O sono io?
    Ecco cosa mi capita con Racket:

    -> (require rnrs)
    -> (log 100 10)
    2.0
    -> (log 100)
    4.605170185988092
    -> (log 100 2)
    6.643856189774725
    -> (log 100 100)
    1.0

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    1. Nell'esempio proposto si sottintendeva che la base del logaritmo fosse 10. Generalmente "log" semplice indica logaritmo in base 10, ma a volte (come nel secondo esempio da te menzionato) viene anche considerato come logaritmo naturale, cioè logaritmo in base e (numero di Nepero), che convenzionalmente si designa invece con la sigla "ln". Qui la spiegazione di Wikipedia.

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